L’amore in sé – Marco Santagata

di ROSSELLA FARNESE – La vita fugge e non s’arresta un’ora è il sonetto petrarchesco scelto dal professore della Sapienza, Fabio Cantoni, filologo sessantenne, per una delle sue explications de textes tenute nelle aule universitarie ginevrine. Una mattina d’inverno, sotto la neve, e un Petrarca «vecchio, stanco e disperato […] che non finge di morire d’amore, ma confessa quanto sia duro vivere se si è morti dentro». E poi un lapsus: «Bubi è il nome che Petrarca dà al desiderio». Marco Santagata

Una lezione il cui fil rouge si perde tra le trame dell’io, tra i versi l’immagine di Bubi che incede leggiadra lungo il corridoio del liceo, «una ragazza slanciata, flessuosa, magrissima […] la grazia», tra le spiegazioni sulla rivoluzionaria pervasività del soggetto del Petrarca nella lirica amorosa medievale eà rebours le note del juke-box del «favoloso agosto del ‘63» quando «con te ogni istante era felicità».

L’amore in sé di Marco Santagata (Guanda Editore, pp. 174, € 11,00), Premio Stresa di Narrativa nel 2006, è intriso di lirismo e venato di nostalgia, incantato e crepuscolare, se fosse un film alcune scene potrebbero avere un’ambientazione simile a Chiamami con il tuo nome (2018) di Luca Guadagnino o a Io ballo da sola (1996) di Bernardo Bertolucci: un’estate, l’arte, la grazia e l’iniziazione alla vita.

Se i versi di Petrarca danno corpo alla mancanza di Laura, il professor Cantoni durante la sua spiegazione materializza l’assenza di Bubi, segreta, sfuggente e tormentata, primo amore adolescenziale «si violent, si fragile, si tendre, si désespéré», come una delle poesie di Jacques Prévert che Fabio le recitava per strada mano nella mano. «Che l’amore sia irrazionale e porti a compiere gesti impulsivi, ridicoli o tragici, eroici o vergognosi, lo sappiamo»: commenta così il professor Cantoni i versi della canzone Perché la vita è breve, molto simile al sonetto. «Ma se maggior paura/non m’affrenasse, via corta e spedita/ trarrebbe a fin questa aspra pena e dura»: parlando del suicidio per amore, legittimato nella tradizione classica da Didone ad esempio, spiega che per gli uomini del Medioevo l’amore era folor, follia.

Molteplici piani si intrecciano tra le pagine del libro che scorre sospeso sul filo della memoria: il presente di Cantoni a Ginevra, nell’aula universitaria, e le conversazioni telefoniche con la moglie a Roma, l’estate del ’63, gli anni del liceo e Bubi, i versi del Petrarca, i ricordi del professore e le sue impressioni sugli studenti tra cui «serpeggia un’evidente svogliatezza, non prendono appunti si agitano sulla sedia, alcuni piegano e ripiegano la fotocopia. Qui non sono abituati alle sintesi storiche. E poi sanno che all’esame saranno chiamati ad analizzare un testo, non a disegnare spaccati di storia della poesia e della mentalità medievale».

L’amore in sé ha la durata di una giornata come tutte le altre eppure insolita al termine della quale rimane «la nostalgia di quel dolce disfarsi delle cose».

Rossella Farnese Marco Santagata

(www.excursus.org, anno X, n. 89, agosto-settembre 2018) Marco Santagata