Il bisogno di sicurezza nella società della paura

di GAETANINA SICARI RUFFO – Sono distratta da molti problemi stressanti ed urgenti, non ultimo il pensiero del virus cinese che preoccupa tutti e che sta creando allarme in tutto il mondo [l’articolo è stato consegnato in redazione il 19 febbraio 2020, Ndr], quando una scritta improvvisa in un giornale mi viene agli occhi e subito al cervello: Bisogno di sicurezza nel nostro tempo. Guardo meglio e apprendo che si tratta dell’ultimo lavoro dello psichiatra italiano Vittorino Andreoli, dal titolo Homo incertus, edito da Rizzoli (pp. 186, € 18,50).

Ecco, penso, la questione è proprio questa: circola nella nostra società una grande paura per tutto ciò che costituisce una minaccia per la vita umana e che non riusciamo più a dominare, armamenti, conflitti, degenerazioni di rapporti, confini valicabili e non misteri insondabili della natura, della scienza e quant’altro, che dovremmo comprendere con un po’ di sano razionalismo, partendo dalla premessa che vuol dire pure qualcosa aver superato tante prove difficili e aver opposto alle incertezze del domani una resistenza che, talvolta, si è rivelata eroica.

Appartengo alla generazione successiva alla Seconda Guerra Mondiale, quando tutto era stato distrutto e intorno tutto era coperto di polvere e sangue. Era il caso di disperare e nascondersi, di non fidarsi più di niente e di nessuno. Si leggeva allora nella poesia del grande Montale, che ho considerato sempre un manifesto: «Ah l’uomo che se ne va sicuro, / agli altri ed a se stesso amico / e l’ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro!». Il poeta aveva un quadro preciso della condizione umana precaria, ribadita da quell’aggettivo scalcinato vicino a muro, dall’ombra sua che si proietta, facendo capire l’assenza e non la pienezza dell’essere. Però è stato detto che era depressione psichica quella nella quale non si sono riconosciuti gli uomini che poi hanno voluto la rinascita e hanno creduto nel sol dell’avvenire. sicurezza

Allora era stata combattuta una guerra disastrosa, che aveva annichilito l’umanità intera, il cui ricordo in alcuni pusillanimi ancora resiste. Ma ora sembra impari una lotta contro nemici invisibili che si annidano dovunque. Dove sta la memoria e a che cosa serve? Perché non usciamo dalla depressione, attivando il nostro quoziente intellettivo? Abbiamo bisogno che qualcuno ci ribadisca che la storia ha un andamento ciclico e che a corsi succedono i ricorsi?

Io ho letto giudizi non entusiastici del libro in questione. Sembra che non abbia veramente inciso l’analisi dei temi economici, religiosi, filosofici trattati, dentro cui si inserisce la temporaneità, colpevole di erranza e di debolezza ma, a prescindere dagli effetti specifici, che giudicheranno i lettori, quel che più conta è la volontà di superare la paura, nemica di ogni attività onesta e sensata e tornare a combattere come prima. L’uomo, da che è in terra, ha questo compito e non lo grazia nessuna istituzione che meriti rispetto. Può cadere in depressione mille volte. Il suo compito è rialzarsi e tornare a combattere finché ha respiro, perché a questo mira la vita finché essa è in corso. sicurezza

Nell’intervista concessa dallo psichiatra a Huffington Post – dal titolo Si è rotto l’uomo paralizzato dalla paura –  c’è ad un certo punto, alla domanda «Quale è la strada per uscire da questo labirinto?» la seguente risposta: «A riscoprire l’umanesimo, un’economia del fare bene. Ritrovare il senso dell’altro, non avere la cultura del nemico. Bisogna fare questa rivoluzione specifica dentro noi».

Gaetanina Sicari Ruffo sicurezza

(www.excursus.org, anno XIII, n. 94, maggio-luglio 2020)