Benedizione – Kent Haruf

harufbenedizionedi FEDERICA CHIMENTON – Il significato letterale della parola benedizione è “atto in cui si consacra, invocazione di beatitudine” e si adatta perfettamente all’omonimo romanzo di Kent Haruf (traduzione di Fabio Cremonesi, NN Editore, pp. 280, € 17,00), un’opera in cui i personaggi danno e ricevono benedizioni e, pagina dopo pagina, si susseguono assenze e presenze.

Libro ultimo della Trilogia Della Pianura – pubblicato per primo in Italia per volontà della vedova dell’autore –, Benedizione è un romanzo semplice alla vista grazie al suo stile scarno e al ritmo serrato, ma talmente denso di emozioni da renderlo magnetico. Tutti i volumi sono ambientati a Holt, una cittadina fittizia del Colorado, dove si svolgono le vicende degli abitanti comuni e così umani che risulta difficile non identificarsi in essi.

In questo capitolo finale si racconta la storia di Dad Lewis, il proprietario del negozio di ferramenta della cittadina, che scopre (nella prima pagina del romanzo) di essere malato di un male incurabile: un dettaglio insignificante, ma al tempo stesso fondamentale per la storia che potrebbe così terminare a pagina 11 alla frase «la verità è che stava morendo». Da questo momento Dad, come viene chiamato bonariamente da tutti, inizia a ripercorrere la sua vita e i momenti di svolta, con la ferrea volontà di sistemare i conti con questo mondo, contemplando giorno dopo giorno le persone che lo popolano e la natura che lo avvolge, senza cercare però una redenzione a ogni costo.

I ricordi di Dad Lewis si intrecciano alle storie degli altri personaggi, a partire dalla moglie Mary e dalla figlia Lorraine: presenze forti nella vita di Dad, ma contrappesate dall’ingombrante assenza del figlio. Frank infatti è fuggito di casa appena maggiorenne per via del rifiuto della sua omosessualità che gravava come un macigno nella retriva e piatta Holt, restia ai cambiamenti e alle visioni del mondo diverse, come quella proposta dal Reverendo Lyle, considerato dai suoi superiori eccessivamente progressista. Amare il nemico per lui è impossibile, la considera «l’idea utopica, una fantasia» (p. 151) per eccellenza, visione poco accettata perfino dalla moglie e dal figlio John, adolescente alla ricerca della sua identità.

Due delle poche persone dalla parte del Reverendo sono Willa e Alene Johnson, madre e figlia che vivono alla periferia di Holt e che conoscono il significato e le ripercussioni che il pregiudizio cieco ha nelle pieghe quotidiane della vita. Alene in particolare, a causa di una relazione con un uomo sposato, ha dovuto affrontare la cattiveria dei cittadini poi trasformatasi in indifferenza: «Lei divenne un pezzo di storia della cittadina, come la carta da parati nelle vecchie case: la donna di mezza età sola e isolata, l’insegnante senza marito che passa la vita in mezzo ai figli degli altri, una che tanto tempo prima aveva avuto un breve, eccitante momento di passione ma poi aveva fatto marcia indietro e ora viveva tranquilla, senza creare ulteriori problemi» (p. 191).

Il romanzo è popolato di personaggi che tornano a Holt o scappano per trasferirsi a Denver, la città che si contrappone alla campagna, simbolo di cambiamenti e perdizioni. Qui si rifugiano coloro che non riescono a sopportare Holt e la sua apparente purezza costellata di «case silenziose illuminate per la notte, arretrate rispetto alla strada, alcune con giardinetti spogli, senza alberi né cespugli, di fianco a terreni vuoti coperti di erbacce. […] L’aria […] fresca e […] il profumo puro della sera sugli altopiani» (p. 21).

Certo, la cittadina fittizia, probabilmente ispirata a Yuma, nonostante si presenti come locus amoenus, cela tra le strade vittime, solitudine, rimpianti e rimorsi che scorrono attraverso gli occhi di Dad, che contempla negli ultimi mesi di vita le storie che gli passano davanti. La sua malattia si aggrava con il procedere delle stagioni, seguendo la ciclicità del tempo e della provincia: i campi arsi che devono essere mietuti, l’arrivo delle piogge, le prime nevicate e il risveglio della natura con la primavera.

La rinascita e le nuove possibilità sono incarnate alla perfezione da Alice, una ragazzina adottata dalla nonna Berta May dopo la morte prematura della madre. La bambina, con la sua dolcezza e purezza infantile, attira a sé un amore profondo e sincero da parte di tutto il vicinato. Un’innocenza interrotta però dalla malattia della madre, motivo per cui le persone la accolgono e la accudiscono nei piccoli gesti quotidiani, come insegnarle a usare la bicicletta o iniziarla all’intima sorellanza tra donne, perché, come dice Berta May, «le stai aiutando a dare. E in questo modo stai dando anche tu» (p. 141).

Un romanzo corale, intimo e profondo, costellato di personaggi comuni e indimenticabili tanto da restare impressi nella memoria del lettore per molto tempo. Uno dopo l’altro si riuniscono attorno a Dad, affrontando l’aggravarsi della malattia con dignità, quasi come se la malattia fosse collettiva e condivisa in minima parte da ognuno di loro.

Le vicende narrate assumono una luce diversa se si considera che, quando Haruf iniziò a scrivere questo capitolo conclusivo della trilogia, scoprì di essere malato lui stesso; durante l’ultima bellissima intervista rilasciata ammise che il progredire della sua malattia coincideva con quello di Dad e che trovò nella scrittura una forma di catarsi, ma anche un modo per affrontare le conseguenze di una malattia terminale.

L’apparente semplicità dello stile, caratterizzato dal discorso diretto continuo, prende forma in un ritmo puntuale e serrato, che spinge il lettore a convincersi di essere di fronte a una scrittura misurata dotata di equilibrio, ma che si rivela però instabile e lo fa catapultare nella storia senza riuscire a staccarsene. Molti critici si sono interrogati sulla natura di questo magnetismo e alcuni hanno trovato una spiegazione nella presenza di un primitivismo innato che si riscontra nello stile (nessuna distinzione tra dialoghi e narrazione), e anche nell’ambientazione caratterizzata da una natura quasi matrigna e sempre presente, in contrasto con l’assenza, perfino a loro stessi, di certi personaggi.

Un grande lavoro è stato fatto senza dubbio dal traduttore che è riuscito nell’intento di rendere la primordialità dello stile e delle vicende umane più comuni e primitive: la vita e la morte. Nonostante sia l’ultimo volume, Benedizione è un’opera a sé stante, così come gli altri capitoli di una trilogia che è stata definita dall’autore stesso una loosetrilogy, formata cioè da volumi slegati che non hanno inizio né fine, e che formano quasi una struttura narrativa circolare. Tutti sono pubblicati da NN Editore, una casa editrice indipendente milanese che lavora per identità e percorsi tematici più che per collane, e che svolge un lavoro interessante sui libri, come ad esempio la composizione di songbook per tutte le pubblicazioni, anche grazie ad un continuo confronto con i lettori.

Un romanzo, dunque, che ha tutte le carte in regola per diventare un classico della letteratura americana, pubblicato da una promettente casa editrice: insomma, un’accoppiata imperdibile.

Federica Chimenton

(www.excursus.org, anno VIII, n. 77, novembre 2016)