Passaggi – Henri Michaux

di ROSSELLA FARNESE – «La mattina, a digiuno, sono in equilibrio ebbro. – Indeterminato. – Incircoscritto. – Né foglia, né uomo, nulla. Aspetto ancora di capire ciò che la giornata mi proporrà – e guardo le cose che mi si presentano alla vista come se si presentassero al mio avvenire, come s e mi proponessero un’esistenza da piccione, da foglia, da ragazzina, da siepe, da sasso, e io non rispondo né sì né no. Nessuna voglia precisa. Non rifiuto né piccione, né siepe, né cavallo, né sasso, né ragazzina. No. Non mi sono ancora deciso […]»: si legge così nel risvolto di copertina di Passaggi di Henri Michaux, raccolta di prose scritte tra il 1937 e il 1963, edita da Adelphi (2012) – in un’edizione rivista e ampliata rispetto alla precedente Gallimard del 1950 – nella traduzione di Bona di Mandiargues e Ivos Margoni (pgg. 194, € 14,00).

Passaggi ovvero, leggendo i titoli delle prose, “idee scorciatoie”, “avventure di linee”, “prime impressioni”, “note”, “osservazioni”, “appunti”: un mot-valise scelto dallo scrittore e pittore belga poi naturalizzato francese per indicare una modalità di scrittura nuova, rivoluzionaria, una forma sperimentale di scrittura mista, di collages “a vanvera”.

Altra cifra stilistica di queste testi ibridi, che spaziano dalla narrazione alla poesia, dall’aforisma all’apologo, dal saggio critico alla nota biografica, è, come anticipato nell’esergo di Yoshida No Kaneyoshi, l’incompletezza: «[…] Desiderabile è l’incompletezza. In ogni cosa l’uniformità è sconsigliabile. Un tempo era obbligatorio lasciare nei palazzi un’ala incompiuta. Senza eccezioni.» Così poi in Bambini: «Cosa c’è di peggio dell’essere compiuti? Adulto – compiuto – morto: sfumature di una medesima condizione».

L’effetto di questa schizofrenia estetica è, come spiega Emil Cioran nel suo ritratto-ricordo dell’artista, la vertigine («Giungere alla vertigine mediante l’approfondimento: ecco quale mi pareva il segreto del suo procedere»), anche se la pulsione anti-architettonica convive con una pulsione costruttiva. L’apparente mancanza di controllo e di direzione infatti non risulta disgiunta dalla simmetrica operazione di rilegatura, si tratta rimbaudianamente di fixer les vertiges come dimostrano il lavorio di riscrittura e lo scrupoloso montaggio di frammenti ritoccati e dislocati di continuo.

E non mancano testi di autoesegesi come Lettura: «I libri sono noiosi da leggere. Non permettono la libera circolazione. Ci costringono ad andare diritto. La strada è bell’e tracciata, unica. Il quadro è tutt’altra cosa: immediato, totale. A sinistra, a destra, in profondità. Possiamo andare dove vogliamo».

L’eclettico Henri Michaux auspica una ridefinizione semantica dell’atto stesso della lettura: la metamorfosi delle parole in elementi iconici è una deformazione liberatoria che trasforma il lettore in un osservatore. Di fronte alla trappola del linguaggio Henri Michaux tesse l’elogio del non-verbale, della pittura, della musica e del cinema, arti del passage, sinonimo di irrequietezza, movimento, dinamismo.

Si legge così nel saggio Un certo fenomeno chiamato musica: «[…] C’è quel che chiamiamo musica […] Queste onde microscopiche ci liberano dal peso delle cose […] Svolgimento del film psichico, del nastro emotivo, del canto perpetuo di cui il musicista ha colto un frammento […] Scorre la vita interiore […] Musica, operazione del divenire […]Arte che canta il divino senza bisogno di credere in Dio […] Arte che canta l’amore […] Arte dei desideri […] non delle realizzazioni […] Arte dell’orizzonte e dell’espansione […]». E in Pensando al fenomeno della pittura: «[…] Esiste un certo fantasma interiore che bisognerebbe poter dipingere […] Se mi piacessero gli “ismi” e volessi mettermi alla guida di un gruppo di individui, inaugurerei una scuola di pittura: il FANTASMISMO (o lo “psicologismo”) […] Vorrei poter disegnare i flussi che circolano tra le persone […] ciò che apprezzo di più nella pittura è il cinema […]».

Il rifiuto della parola letteraria e l’interesse per il pre-verbale e il non-verbale è connesso al motivo dell’in-fans, modello estetico ideale per la creazione artistica, e da qui le considerazioni sull’universalità della lingua ideografica o il saggio Avventure di linee dedicato a Paul Klee, cui lo accomuna il desiderio di giocare, così all’inizio di Prime impressioni: «[…] mi è venuto, quando ormai non ne avevo più l’età, il desiderio di giocare, e ultimamente di giocare con i suoni».

«Sento il bisogno di perdermi e in tal modo di rigenerarmi»: scrive Henri Michaux in Idee scorciatoie e così si sente il lettore avventuratosi tra le pagine di Passages, un libro composto dall’artista innanzitutto per se stesso, dettato cioè dal bisogno di gettare – e riordinare poi – i propri pensieri per conoscersi e per sentirsi vivo. «Scrivo per percorrermi. Dipingere, comporre, scrivere: percorrermi. In ciò sta l’avventura di essere vivi».

Rossella Farnese

(www.excursus.org, anno XIII, n. 95, febbraio-aprile 2021)