Il procuratore del diavolo – Enrico Solmi

di FEDERICA CHIMENTON – «Io vi porto la testimonianza di quello che vi aspetterà, anime dannate, perché possiate prendere coscienza del vostro destino, nel regno del mio Signore. Il vostro destino e quello di tutti gli uomini e le donne di questo misero pianeta. Il terrore regnerà e il caos dominerà». Omicidi, pazzia, consumismo televisivo e fanatismo religioso si intrecciano nel romanzo Il procuratore del diavolo di Enrico Solmi (Damster Edizioni, pp. 208, € 14,00).

Stefano Fai è un giovane di diciannove anni che, in una notte piovosa, decide di fuggire di casa. Con una situazione familiare difficile, un fidanzamento rotto e l’indecisione sul futuro, accetta il passaggio di un certo Mario Margheriti, professione talent scout.

Il ragazzo inizia a sentirsi a disagio quando scopre che l’uomo conduce una vita dissoluta, sperperando il denaro e tradendo la moglie con le prostitute. Stefano sembra rendersi conto che il Male domina Mario, forzandolo a comportarsi in modo sregolato e senza freni inibitori, fino a commettere un gesto estremo che coinvolge degli innocenti in un autogrill. Con l’arrivo della polizia, le domande che il commissario Magiari sottopone a Stefano gli fanno ricordare di come Mario sembrasse essere perseguitato da qualcosa,«l’artiglio» come lo chiamava, a cui, in un ultimo momento di lucidità, dà la colpa di tutto.

Tre anni dopo Stefano combatte ancora con i ricordi di quella notte che gli causano ansia, incubi, paura che riesce a calmare solo con gli stupefacenti. Il ragazzo ha dei vuoti di memoria, non è in grado di superare le sue angosce e quando la sua ragazza viene misteriosamente assassinata la situazione precipita. Ma in questa storia niente è come sembra e il commissario Magiari, chiamato a fare nuovamente luce sui fatti, se ne accorge subito. Iniziano qui a intrecciarsi le storie delle persone coinvolte nella vicenda di Stefano Fai: Delia, Don Antonio, la perpetua Elvide e il conte Lodovico de Federicis.

Enrico Solmi inizia piano piano a insinuarsi nelle loro vite diverse, ma accomunate dalla presenza del Male che si palesa in forme diverse in ognuno di loro. L’aspetto sicuramente interessante è la presenza assidua della televisione nelle loro esistenze, che funge da catalizzatore della loro attenzione, ma anche da veicolo della tentazione che induce al peccato. Tutti ne sono colpiti indistintamente, perfino il parroco, che, nonostante metta in guardia Elvide dicendole che «non deve leggere o guardare certe cose, cose immorali», è comunque «obnubilato dalla televisione, meraviglioso strumento del peccato». È un mezzo che non permette più agli uomini di pensare in modo semplice e libero, ottenebrati da «reality show, telequiz, pubblicità, rotocalchi scandalistici, vecchi film, previsioni del tempo».

Al centro di questa spirale immorale si staglia il commissario Magiari che porta con sé le colpe di un matrimonio finito male e di un pessimo rapporto con la figlia, a cui si aggiunge un lavoro che spesso è sinonimo di un fardello impossibile da superare. Magiari è una sorta di testimone in tutta la vicenda, osserva dall’esterno come il Male può insinuarsi nelle menti più innocenti e si chiede se esiste un motivo plausibile per tutto ciò, «una ragione per cui Dio [continui] a permettere che [accadano] queste cose. Forse era necessario, forse il male era necessario perché il bene esistesse. […] Forse anche lui faceva parte del disegno di Dio».

Tuttavia con l’avanzare delle indagini, il commissario capisce che c’è qualcuno più oscuro collegato a Stefano Fai che tutti hanno avvistato e che hanno descritto come «un uomo in nero», il Procuratore del Diavolo del titolo. Questo personaggio è assolutamente misterioso, agisce nell’ombra e non si conosce mai il suo nome. Egli si considera il portavoce del Diavolo, incaricato di fare le sue veci nel mondo, e convinto di liberare gli uomini dalle loro catene, catene fatte e create dalla società del consumo e veicolate dalla televisione per zittire la vera essenza dell’essere umano e i suoi istinti primordiali. In primis i reality show, che mostrano una visione distorta della realtà.

Lo show simbolo del peccato è in tal caso “L’Avventura” che accompagna le giornate dei protagonisti e che impedisce alle loro menti di pensare: «Fece per dire qualcosa ma si fermò, come se stesse pensando. Allora afferrò il telecomando e accese la televisione. “C’è l’Avventura!”». L’uomo in nero si presenta dunque alla porta di ciascuno dei personaggi per “risvegliare” la loro indole e permettere alle loro esistenze di prendere una piega diversa. Tutti si sentono verso la fine più vicini a quella che l’uomo in nero chiama “Verità”, ma il colpo di scena finale ribalterà completamente la situazione. Enrico Solmi

Di certo l’opera fa riflettere sul potere condizionante della televisione e dell’influenza generale che i mezzi di comunicazione di massa possono avere sull’uomo che oramai non è portato a pensare con la sua testa. Tutto il libro ruota dunque attorno all’idea di quanto conti solo l’apparenza nella nostra società, sia che riguardi l’aspetto con cui ci mostriamo agli altri, sia che riguardi la religione che alcuni non condividono e che altri distorcono in fanatismo.

Dal punto di vista narrativo il romanzo, scorrevole e a tratti non convenzionale, alterna i diversi punti di vista dei personaggi e mischia tecniche stilistiche trasformandolo in un racconto inusuale con una visione molto forte e precisa della nostra società. Sicuramente non scontata, questa storia noir attira il lettore sulle pagine incuriosendolo a scoprirne il finale assolutamente inaspettato, facendoci riflettere su come anche le anime all’apparenza più innocenti si possono convertire al Male in qualsiasi momento.

Federica Chimenton Enrico Solmi

(www.excursus.org, anno VI, n. 65, dicembre 2014) Enrico Solmi