Se incontri qualcuno digli che io sono qui – Moran Beaumer

di GIULIA POLLASTRI – In Se incontri qualcuno digli che io sono qui (Postfazione di Alberto Oliva e Mino Manni, Wlm Edizioni, pp. 136, € 13,00) Moran Beaumer affronta un tema indubbiamente molto attuale: la disoccupazione, soprattutto in età matura, è infatti, mai come in questi anni, unʼesperienza tragicamente comune.

Esperienza in cui la perdita del posto di lavoro costituisce in realtà soltanto il punto di partenza, poiché, in una sorta di effetto domino, ad essa seguono delle mancanze collaterali: perdita di speranza nel futuro, perdita di uno scopo, perdita di autostima nonché, ovviamente, perdita di autosufficienza economica.

La disoccupazione diventa così una condizione esistenziale, che influenza la visione della realtà, le relazioni umane – lʼessere uomo, marito, padre, figlio – ma che al contempo può aprire nuove prospettive, diventando occasione di rinnovamento o ripensamento di determinate scelte: «In pochi minuti sono licenziato. […] Un destino che si compie o un’opportunità da cogliere?» (p. 15). Moran Beaumer

Sébastien Galesy ha 56 anni, è divorziato – in casa perché costa meno – con due figli piccoli; da quando ha perso il posto di direttore creativo in unʼagenzia pubblicitaria trascorre le sue giornate in biblioteca, fingendo di lavorare a progetti futuri, o seduto nella sua vecchia stanza in casa dei genitori, debolmente rincuorato dal padre novantenne e del tutto ignorato dalla madre che, malata di Alzheimer ormai da anni, non parla più né riconosce il volto dei familiari.

Totalmente sfiduciato e allarmato per la sua situazione economica, Sébastien decide di rapinare il Crédit du Nord, una piccola banca. Si procura unʼarma – la vecchia pistola del padre che da ragazzino si divertiva a smontare e rimontare – e un complice – lʼamico di infanzia Yves, ingegnere aerospaziale disoccupato ed esperto di cioccolato – e inizia ad elaborare un piano: visita la banca e ne studia il funzionamento, entra in confidenza con il direttore, il signor Lagarde, al quale fa credere di voler chiedere un prestito. Successivamente, fissa il giorno della rapina, e quel giorno infine arriva: indossata una camicia bianca, infila la pistola nella valigetta ed esce di casa, deciso ad andare fino in fondo. Moran Beaumer

Ciò che accade a partire dal momento in cui Sébastien varca, armato, la soglia della banca, lasciamo che sia il lettore a scoprirlo; sarà sufficiente anticipare che, come in un film dʼazione, il ritmo si fa sempre più incalzante e lʼesito dell’impresa viene svelato solo nelle ultime pagine. Ad attrarre chi legge, a mio parere, non è tuttavia il finale – che anzi appare abbastanza prevedibile o comunque raccontato in maniera piuttosto sbrigativa – e nemmeno il momento dell’azione in sé – ossia la sequenza della rapina –, quanto tutto l’antefatto, la fase preparatoria che, in realtà, copre la maggior parte del romanzo: è infatti nel prima che vengono presentati i personaggi e che si assiste ad esempio al nascere del legame tra Sébastien e il direttore di banca Lagarde, legame descritto con particolare cura con lʼintento di fare emergere le motivazioni che si celano dietro l’agire di entrambi.

Le ragioni più approfondite, comʼè ovvio, sono quelle del protagonista, colui che effettivamente prende decisioni che determinano l’evoluzione dell’intreccio. A spingere Sébastien non è tanto il bisogno economico – nonostante comprenda profondamente lʼimportanza del denaro – quanto lʼamore per sé e per i figli, perché scoprirsi di nuovo capace di un grande gesto gli appare come lʼunico modo per riuscire ad essere ancora un padre. La rapina, in questa prospettiva, è sì unʼazione disperata ma anche la via di un riscatto personale: «Non vedo alternative in questo momento schifoso della mia vita […] Vedo solo questo futuro. Entrare in quella banca e uscire con dei soldi per darmi energia. […] Non dico che sia glorioso, – ammette Sébastien – ma mi dimostra che sono vivo e che ho un sentimento di me» (pp. 52-53). Moran Beaumer

È interessante come nel romanzo torni in maniera costante ed ambigua l’opposizione tra vita e morte. Non è ad esempio un caso che la narrazione si apra con l’immagine di una camicia bianca bucata da un proiettile e macchiata di sangue o che il protagonista associ il licenziamento all’omicidio: «Licenziare è come uccidere e quando uccidi il sangue esce e non ci sono tamponi o garze» (p. 16). Ma cʼè dell’altro: la morte e la vita appaiono come fili che si intrecciano, come mondi che si sfiorano di continuo e talvolta si capovolgono, prendono lʼuno il posto dellʼaltro; chi è morto in realtà si è liberato – come la nonna Thérèse che si è addormentata e non si è più svegliata – mentre chi è vivo muore ogni giorno – come la madre malata che oramai non si accorge di quel che accade intorno ed è intrappolata in un corpo che oramai non le appartiene. Il protagonista stesso, se da un lato si trova privato della propria funzione sociale, dallʼaltro inizia a pensare di essersi detestato soltanto in questo momento, scosso dal torpore di unʼesistenza piatta e priva di stimoli, di essere tornato alla vita nellʼattimo in cui ha perso i punti di riferimento: «Quello che mi è successo è successo per farmi svegliare» (p. 53).

Il fatto che il protagonista sia anche narratore e che il racconto si presenti in realtà come un concatenarsi di suoi pensieri, memorie, riflessioni – talvolta così liberi da ricordare il flusso di coscienza – consente al lettore di calarsi nella storia adottando quello stesso punto di vista, di immedesimarsi con il personaggio.

È vero che la situazione da cui Sébastien parte, la disoccupazione con le sue implicazioni, è comune a molti e nota, anche se indirettamente, ad ogni lettore, tuttavia non basta da sola a determinare tale identificazione; il protagonista, per essere compreso, ha bisogno di svelarsi, e la cura e lo spazio che Moran Beaumer dedica a quel prima di cui dicevamo è funzionale proprio a questo: solo conoscendo Sébastien, la sua storia personale, attraverso ciò che egli stesso rivela ma anche attraverso ciò che tace, il lettore è messo in condizione, più che di assolverlo o condannarlo, di comprenderne le motivazioni.

Giulia Pollastri Moran Beaumer Moran Beaumer

(www.excursus.org, anno VII, n. 66, gennaio 2015) Moran Beaumer