In obliquo nella notte – Chiara Arrighetti

di RITA CASSANI – «La vista da lassù spaziava a perdifiato. Torre Vanga, posta a baluardo del ponte di San Lorenzo sull’Adige, si ergeva imponente, massiccia, e con il riverbero del sole al tramonto prendeva un colore incredibile. Tor Rossa, la chiamavano infatti, perché era stata costruita con mattoni di cotto su un basamento di pietra. […] Dietro la Torre si riusciva a scorgere anche l’ansa del fiume, con le chiatte e le barche ormeggiate, e il pullulare sulle sponde di donne e uomini […]. E più in alto il Doss Trento, appena spolverato di neve sulle poche rovine rimaste dell’antica rocca. Bellezza assoluta. Avrebbe voluto buttare giù uno schizzo per un dipinto, in quel momento, come ai vecchi tempi». Arrighetti

Chi osserva il paesaggio, affacciandosi alla finestra di una soffitta «umida e malmessa», è il pittore Francesco Zaganelli, uno tra i protagonisti di In obliquo nella notte, l’ultimo nato dalla penna di Chiara Arrighetti (Carta Canta Editore, pp. 280, € 15,00). E l’immagine che l’autrice evoca, con gli occhi di un pittore, ricorda effettivamente gli acquerelli che Albrecht Dürer realizzava a Trento alla fine del Quattrocento, non molti anni prima della vicenda narrata dal romanzo.

Dürer… Chiara Arrighetti ci aveva lasciato lì, nel finale di Un’oncia di rosso cinabro (CartaCanta) di cui questo romanzo è il seguito. Addì 15 febbraio, anno del Signore 1510: il giovane artista Stefano di Bondinello parte dalla nativa Cotignola destinazione Norimberga. Nella bisaccia ha una lettera di presentazione per il prestigioso pittore e incisore Albrecht Dürer e l’accusa di aver ucciso uno dei suoi due maestri, Bernardino Zaganelli, in realtà semplicemente sparito nel nulla, forse fuggito. Eravamo rimasti lì, sospesi: il ragazzo che abbandona tutto e si lancia nel vuoto; il suono degli zoccoli del suo cavallo ovattato da una fitta nevicata. E un manto bianco che ricopre le sue orme…

In obliquo nella notte riprende il filo di una storia interrotta. Ritroviamo così Francesco Zaganelli, mentore e protettore di Stefano, con tre dei suoi uomini, alla ricerca di quell’allievo amato come un figlio. Spinto dal rimorso o dalla nostalgia, inseguito dagli sbirri di Tommaso Buonanno, il Capitano di Giustizia di Cotignola, che nel frattempo ha perso le tracce del ricercato e spera di trovarlo inseguendo il pittore. Non lo troviamo però a Norimberga bensì a Trento, dove il viaggio di Stefano pare essersi incagliato. Siamo nel dicembre 1510, dieci mesi dopo il commiato.

Sarà una serie di coincidenze a riavvicinare maestro e allievo. Da mesi, Stefano vive proprio a Trento, nella casa dell’architetto Simone degli Scardi, che lo sfrutta per la sua abilità di disegnatore e lo ricatta, sapendolo ricercato. Simone, rampollo viziato di un ricco pellicciaio oriundo di Bologna, coltiva il sogno di una confraternita religiosa che chiama «consorteria di nuova e vera spiritualità», in un’atmosfera che in molti punti già prelude alla riforma luterana. Per questo brama anche di aprire una tipografia, dove pubblicare i libri della consorteria. Una rete di intrighi si crea quindi intorno a lui e al suo progetto, di cui fanno parte molti altri personaggi, potenti e non.

A Trento, Stefano si trova senza volerlo immischiato in queste vicende e incontra persone destinate a cambiargli radicalmente la vita. Come il nobile Luca Thun, rampollo di una delle famiglie più ricche e potenti dell’intera valle: «Come sarebbe a dire che non vi viene in mente? Nel cuore della città, in contrada Larga, proprio vicino al Duomo. Hanno acquistato una serie di case che stanno sistemando. Vogliono farne un unico palazzo». O la raffinata Madeleine, calligrafa sposata al nobile tedesco Herr Hubert Minsk: «Non somigliava a nessuna donna che già avesse visto o conosciuto. Aveva un lavoro, proprio come un uomo, e girava sola, proprio come un uomo, e sapeva un sacco di cose e anche per quello, oltre che per il suo carattere deciso, l’aveva vista tante volte tener testa anche a un tipo arrogante come Simone. Eppure era dolcissima. Di una timidezza inverosimile». Ma l’incontro decisivo, misterioso, di Stefano, avviene negli ultimi capitoli e ci lascia sospesi, sul sipario di una scena penultima, in una notte di giugno, anno del Signore 1511.

Un romanzo a più voci, nel quale ogni personaggio ha il proprio bagaglio di sogni e paure. Su tutti regnano sovrani gli ambienti, ben noti all’autrice trentina di nascita, tanto che ci viene da pensare che il vero protagonista del romanzo sia proprio la città di Trento. In questa chiave possiamo anche capire la libertà che l’autrice si prende, inserendo la presenza del pittore Dosso Dossi a Trento, alcuni anni prima della sua presenza storicamente accertata. Una licenza letteraria che l’autrice si concede, forse come omaggio a quella città che lei condivide, al di là della barriera dei secoli, con la famiglia del famoso artista rinascimentale.

Per questo motivo, intuendo l’importanza degli ambienti, ho deciso di interrogare le strade e gli edifici di Trento. Che non solo sono il contorno della storia, ma anche i muti testimoni oculari di questa invenzione letteraria dalle radici storiche. Trovo così Torre Vanga, baluardo sudoccidentale della città, con la sua mole in mattoni. Qui pare quasi poterli vedere, Francesco e il suo seguito, trovare alloggio nella soffitta di un palazzo che ha già visto esaurirsi i propri giorni di gloria. Visito poi la chiesa di S. Apollinare, costretta tra l’Adige e la collina del Doss Trento. E posso vederla con gli occhi di Stefano: «somigliava a un modellino di legno […] Era molto stretta e altissima, come se avesse dovuto toccare il cielo, e lunga non più di una ventina di passi […] Il tetto, con la copertura a scandole, scendeva ripido e scuro, così inclinato da essere quasi verticale». Mi incammino ancora lungo la via pedonale che dal duomo conduce all’attuale piazza Fiera. Dove ora insistono i negozi dello shopping di lusso, cinque secoli fa era abitato da ricchi mercanti. E basta un po’ di immaginazione per scorgere, tra i moderni fruitori, le raffinate signore che escono coi loro seguiti dalla pellicceria di Sante degli Scardi. E si pavoneggiano, coi loro strascichi di broccato, avvolte nei loro mantelli di velluto foderato.

La costruzione di un romanzo e soprattutto se storico, è anche questo: non basta creare una trama, occorre radicarla nello Spazio e nella Storia. Percorrere i teatri delle vicende, calcolarli a passi lenti, socchiudere gli occhi e vedere quelle stesse vie e quelle medesime facciate di palazzi, cinquecento anni fa. Questo esercizio di esplorazione rende il lettore del romanzo simile a un detective che, percorrendo i luoghi materiali, pensandoli attraverso lo Spazio e la Storia, può seguire le orme creative dell’autrice. In questo modo potrà comprendere meglio le trame narrative, andare oltre il testo narrativo e colmare gli eventuali vuoti, volutamente lasciati in esso.

Un libro da leggere, senza dubbio. Ma anche, e ancor più, un’opera da visitare, passeggiare, godere sul posto, con l’indice tra le pagine e il naso all’insù.

Rita Cassani Arrighetti

La rivista Excursus si è già occupata dell’opera di Chiara Arrighetti, recensendo, sempre grazie alla penna di Rita Cassani, il suo precedente romanzo Un’oncia di rosso cinabro: clicca qui per leggere l’articolo (Ndr).

(www.excursus.org, anno VI, n. 65, dicembre 2014) Arrighetti