Nelle trincee del mare – Alfredo Sorbello

di GIORGIA RAPTIS – «Tra la Tunisia e la Sicilia un mare di mine, messe dagli italiani per proteggersi dalle navi nemiche. Solo una striscia di mare fu lasciata appositamente non minata e ci pensarono gli inglesi a completare il lavoro. Così gli italiani dovevano affrontare una rotta ad altissimo rischio, che subito divenne la “rotta della morte”».

Alfredo Sorbello, nell’introduzione del libro Nelle trincee del mare. Racconti di famiglia (Edizioni Akkuaria, pp. 114, € 12,00), rievoca i ricordi di quando, ancora bambino, la nonna gli narrava la “favola delle Sette Navi”: una sorta di “piccola Eneide familiare”, in cui il nonno Leonardo, durante la Seconda Guerra Mondiale, sopravvisse miracolosamente al viaggio attraverso il mare minato, imbarcato sull’unica torpediniera rientrata in porto, a differenza delle altre imbarcazioni colate inesorabilmente a picco negli abissi.

Da questo ricordo si tessono le tele per i sei racconti del libro, attraverso un secolo di guerre, combattimenti, lager nazisti, disastri nucleari narrati e rammentati dalla gente comune, dal popolo che porta incisi sulla propria pelle i segni del Novecento. Sono le persone, con le loro ansie, le loro paure, le loro emozioni ad essere le vere protagoniste dei racconti.

«Una striscia di sangue apparve sotto la lama quando la sollevò, vi passò le dita della mano, era una ferita superficiale. Ben più profonde ferite si squarciarono nella sua mente a quelle parole. Ebbe uno scotimento, come se le schegge del proiettile Shrapnel gli fossero rientrate di nuovo in corpo»: fu in quell’istante che il padre di Leonardo apprese dalla radio la notizia che l’Italia era scesa in guerra, per la seconda volta nell’arco dello stesso secolo. Il ricordo delle trincee colpì improvvisamente il suo cuore, il pensiero che suo figlio era in età per essere arruolato lo devastò completamente.

Era necessario escogitare un piano, a Leonardo non sarebbe toccata la sua medesima sorte: non avrebbe visto i suoi compagni morire, non sarebbe rimasto invalido, o peggio non sarebbe morto o rimasto disperso in qualche trincea sperduta tra le montagne. La mente vagava, sicuramente farlo disertare non era un’idea da prendere in considerazione. Nel nuoto era abile, la Regia Marina sarebbe stata la sua strada. Certo di averlo salvato, non si domandò se davvero il male che non si conosce è meglio del male che si conosce. Cannoni, campi minati marittimi, bombe e siluri fecero compagnia a Leonardo durante le lunghe notti insonni, dense di paure e tremori. Alla fine, come al padre in trincea vent’anni prima, al figlio toccò il medesimo destino: il dover giustificare a se stessi l’essere sopravvissuti ad altri uomini.Alfredo Sorbello

Un pesante fardello del Novecento furono i campi di concentramento: «Lui tremava, era tutto sporco di terra. Lo percossero ma lo fecero più per divertirsi che per fargli male, dovevano essere di buon umore, magari avevano appena mangiato. In alcuni casi i prigionieri erano stati appesi nudi a testa in giù al gelo, altre volte persone avvicinatesi troppo al recinto erano state freddate da un colpo di fucile. Alfio ci pensava ma provava a ripetersi: io non sono qui, io non sono qui». Rinchiusi, trattati come bestie, quando la scelta era tra morire di fame o morire fucilati, anche un topo poteva apparire un ghiotto pranzo.Alfredo Sorbello

Le giornate si susseguivano tra lavori forzati, baracche colme di distese di letti a tre piani, con un’unica stufa al centro della sala ma migliaia di pidocchi tra le lenzuola, mentre il cibo veniva distribuito una volta al giorno: zuppe servite in marmitte, ai più fortunati capitava di trovare qualche cavolo o patata galleggiante. «Per avvertire il passare del tempo guardava un luogo e chiudeva gli occhi per memorizzarlo, poi dopo vario tempo guardava altrove, un altro luogo. Giocava a immaginare che tra quei due momenti il tempo volasse e lui fosse capace di andare avanti o andare indietro col pensiero, fuggendo in un attimo da dove si trovava. “Io non sono qui”».

Ricordatevi di non dimenticare. È questo il prezioso insegnamento che emerge dai racconti del libro, un avvertimento che viene dal popolo, dagli orrori che ha vissuto, dalle sue paure, dai suoi dispiaceri, dalle sue angosce e dalle sue pene. Sono queste le “voci dal basso” che bisogna preservare, la cui memoria rischia di trasformarsi in oblio con il passare delle generazioni. Le favole di Enza raccontate al nipote non si trovano sui libri, vivono dentro di lei e nei suoi racconti, ma i nonni invecchiano e i bambini crescono, il tempo fa il suo corso e le storie vengono raccontate sempre meno fino a rischiare di scomparire.Alfredo Sorbello

Tuttavia, può succedere che un giorno, in una cantina buia, o una soffitta polverosa di una vecchia casa da svuotare, riemergano scatoloni colmi di documenti di guerra e foto d’epoca: «Quella che sembrava una leggenda aveva un fondo di verità. Vedere tutti i ricordi ammonticchiati in vari pacchi mi fece temere che tante storie e tanti ricordi si perdessero per sempre. Pensando a quanto mi faceva piacere ascoltare queste storie mi si stringeva il cuore a vederle rischiare di essere perse per sempre, e non trasmesse ai miei figli e dai miei figli ai loro».

Il tempo non deve cancellare la memoria, non deve cancellare la storia. È necessario tramandare i fatti alle nuove generazioni, perché possano trarne insegnamento e far in modo che non si ripetano mai più. Ricordare è doloroso, ma è il primo mattone verso la costruzione di un futuro migliore.

Gli scritti di Alfredo Sorbello, con il loro stile intenso, ma scorrevole, sempre denso di emozioni, diventano un tassello importante nel ricordare, nel tramandare di generazione in generazione. I racconti hanno un potere immenso, trasportano all’interno dei luoghi, delle ansie e nella vita dei protagonisti, guardano gli avvenimenti storici così come sono stati vissuti dagli uomini guidando il lettore all’interno di essi, all’interno della memoria, arricchendolo infine di un’emozione. E dall’emozione prende vita il ricordo.

Giorgia Raptis

(www.excursus.org, anno IX, n. 82, aprile 2017)