Ultimo mondo cannibale – Andrea Monticone

di ALESSANDRA TESTA – Vicende private e pubbliche si intrecciano e comprimono nel viavai frenetico delle vite di tre personaggi: Luca Papotti, un magistrato annegato tra carte e burocrazia, Jacques Valenti detto Jack, un fotografo in crisi di mezza età con un’improvvisa passione per una giovane stagista e Angela, moglie del primo ed ex compagna del secondo. Tre individualità alla deriva in un caos ben arredato: sono la Torino e la Milano di oggi, aggrovigliate in una ragnatela di corruzione, rimpianti e stratagemmi di ogni tipo per uscirne indenni.

Carriere difficili, le loro, ma ancora più confuse le loro vite personali intrappolate nei dubbi. E non solo: un ingegnere fallito, un attivista votato alla causa, un giornalista senza più nulla da dire alla ricerca dello scoop facile. Le personalità che si affacciano su questo romanzo di Andrea Monticone, Ultimo mondo cannibale (Golem Edizioni, pp. 184, € 14,00), sono tra le più variegate e ingarbugliate in un’esistenza al limite del sostenibile.

In uno scenario fin troppo simile al quotidiano, i personaggi si affannano per sopravvivere alle crisi di Stato, alla corruzione dilagante e agli scandali appostati ad ogni angolo. È un mondo disegnato su modello perfetto del reale, dominato dal riso amaro di chi osserva lo sfacelo consumarsi davanti ai propri occhi. Politici senza volto, stralci di conversazioni e Grandi Illusioni: il Senatore, la Repubblica, l’Agenzia, non sono altro che nomi vuoti infarciti da maiuscole altisonanti.

L’Agenzia dove lavora Jack, un mattatoio d’immagini, prototipi e microcosmi ben confezionati: Milano si prepara all’Evento per contrastare la Crisi, e lo fa indirizzando i propri squali nel cuore della vita cittadina. Allo stesso tempo Torino, vagheggiata da Luca in un passato felice di studi universitari, si rivela più grigia del previsto. È difficile riappacificarsi con queste città, ma ogni personaggio si ritaglia il proprio quadretto di quiete nella giungla urbana. Luca non crede più nella giustizia, diventata ormai mero esercizio burocratico, e lo stesso vale per il suo matrimonio: ha smesso di funzionare senza un vero motivo. Angela fugge da un grigiore all’altro rincorrendo la soluzione migliore per sedare i rimpianti: rivedere Jack. Il passato risulta sempre la scappatoia più invitante.

È in questo groviglio feroce e ordinario che la vecchia terza F si ritrova a disseppellire qualche ricordo legato alla gioventù e a divincolarsi dalle identità pre-impostate dettate a priori da i compagni di un tempo. E se c’è chi sfiora l’idea del suicidio arrampicato su ponteggi che arrugginiscono, tutti comunque rimangono in piedi di fronte all’immobile teatrino allestito per loro. Come Luigi, ingegnere vittima dell’inferno dei subappalti che si aggira come un fantasma tra le arterie della città e le case di ringhiera del centro. O ancora Jack, che cerca il riposo della mente tra le braccia di una neolaureata troppo giovane e nelle note sconclusionate del Jazz dei club nascosti.

«Io sono qui a sorprendermi ogni giorno e innamorarmi ogni giorno. E credo che mi accada perché non sono di qui. Io non sono di qui, forse la realtà ultima è questo. E la città che vedo davanti ai miei occhi non è quella reale, ma l’immagine che ho inseguito tra i racconti di Scerbanenco, un’idea di opportunità di cui non ho raccolto che le briciole, perché tutto questo poco che mi sta attorno è meglio di quello che ho lasciato».

Le evocazioni di Roberto Vecchioni, Giorgio Scerbanenco e Ruggero Deodato funzionano come un motivetto di fondo che non lascia mai le vie illuminate della metropoli. Uno strumento efficacie per raccontare queste storie suburbane di pessimismo cronico: l’humour nero e il sorriso deluso che si disegna puntualmente sulla bocca dei personaggi e che si vede nitidamente attraverso le righe. I discorsi si frammentano, si annodano e si dissolvono in una descrizione iper-analitica delle azioni e dei pensieri dei protagonisti. Ad Andrea Monticone non sfugge nulla di questo universo selvaggio, neanche l’impossibile miracolo di una seconda occasione.

Alessandra Testa

(www.excursus.org, anno VII, n. 70, maggio 2015)