Premio Strega 2017: vince Paolo Cognetti


Con 208 voti, Le otto montagne (Einaudi) di Paolo Cognetti ha vinto il Premio Strega 2017, superando largamente Teresa Ciabatti (La più amata, Mondadori, 119 voti) e Wanda Marasco (La compagnia delle anime finte, Neri Pozza, 87 voti). Al quarto posto Matteo Nucci (È giusto obbedire alla notte, Ponte alle Grazie, 79 voti) e quinto Alberto Rollo (Un’educazione milanese, Manni, 52 voti).

«Viva la montagna!» ha esclamato sul palco Paolo Cognetti, per poi proseguire: «questa vittoria la dedico proprio alla montagna che è un mondo abbandonato, dimenticato e distrutto. Io mi sono votato a cercare di raccontarla, a fare il portavoce. A cercare di fare il tramite tra la montagna e la pianura e la città».

La giuria, presieduta da Edoardo Albinati, vincitore dello scorso anno, era composta da 660 votanti: 400 Amici della Domenica, 40 lettori forti selezionati dalla librerie indipendenti, 200 intellettuali e studiosi italiani e stranieri scelti da venti istituti di cultura all’estero e 20 voti collettivi espressi da scuole, università e biblioteche.

Nel corso della serata, condotta da Eva Giovannini, è stato anche ricordato, attraverso un filmato, Tullio De Mauro, deceduto il 5 gennaio. In proposito, Giovanni Solimine, presidente della Fondazione Bellonci,  ha dichiarato che «è stato un grande maestro, che ha avuto la capacità di andare oltre gli specialisti. Credeva nella forza della partecipazione culturale».

Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po’ scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l’orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia. Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo “chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l’accesso” ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E li, ad aspettarlo, c’è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche. Iniziano così estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, “la cosa più simile a un’educazione che abbia ricevuto da lui”. Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito più vero: “Eccola li, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino”. Un’eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.

La redazione Paolo Cognetti

(www.excursus.org, anno IX, n. 84, luglio 2017) Paolo Cognetti