Gli anni della leggerezza – Elizabeth Jane Howard

di FEDERICA CHIMENTON – Succede di tanto in tanto che il mondo letterario, perennemente in subbuglio e alla ricerca di nuove voci, riscopra delle penne fino ad allora semisconosciute e che il pubblico di lettori le accolga con un entusiasmo tale da farsi portavoce della fatidica domanda: “Come abbiamo fatto a non leggere le opere di costui finora?”. La vicenda si fa ancora più interessante se si pensa che molto spesso gli autori che riemergono da scaffalature impolverate sono per lo più autrici, che hanno saputo dar voce ai sentimenti e alle aspirazioni di intere generazioni di donne del secolo scorso. cazalet

Una delle scrittrici in questione è Elizabeth Jane Howard, autrice della fortunata Saga dei Cazalet edita da Fazi, il cui primo volume si intitola Gli anni della leggerezza (traduzione di Manuela Francescon, Fazi Editore, pp. 606, € 18,50).

La sua scrittura viene oggi osannata dai più grandi autori viventi, tra cui Hilary Mantel, anch’essa britannica nonché due volte vincitrice del blasonato Man Booker Prize, che definisce Jane Howard – com’era conosciuta tra i più – «una scrittrice che dimostra attraverso il proprio lavoro a cosa serve un romanzo… Ci aiuta a fare quello che è necessario: aprire occhi e cuore». Perché dunque ne abbiamo sentito parlare solo negli ultimi anni? Perché il suo talento a tessere arazzi letterari non è stato riconosciuto se non in tarda età? Elizabeth Jane Howard è un esempio di come le contingenze storiche, culturali e personali siano indissolubilmente legate al destino di qualcuno, specie se questi è una donna vissuta nel corso del Novecento.

Jane nasce nel 1923 in una famiglia alto borghese che doveva la sua fortuna al commercio del legname, un impero ereditato dal padre David che sposa con un matrimonio riparatore Kit, ex ballerina costretta ad accantonare ogni aspirazione artistica per occuparsi della casa e dei figli. L’infanzia di Jane è caratterizzata da due elementi: la presenza di un padre caloroso ma inaffidabile, che intrattiene con la figlia un rapporto che rasenta la violenza fisica; dall’altra parte una madre ostile che le nega gli studi universitari, ma le impartisce dei consigli su come essere “una donna poco fastidiosa”. Jane cresce con un senso di inferiorità nei confronti del fratello minore, perfetto nel suo essere biondo, ma soprattutto nel suo essere maschio in una famiglia di ereditieri. In un bellissimo articolo pubblicato sul The New Yorker nel 1963, parlando dell’educazione ricevuta, confessa: «I had learned a lesson: my brother was younger, infinitely more attractive, and a boy; ranged beside him, I was inferior in every aspect».

A diciannove anni sposa in una cerimonia in sordina Peter Scott, un naturalista di ben quattordici anni più grande di lei e nel 1943 durante la guerra nasce la sua prima e unica figlia Nicola. Tre anni più tardi lascia il marito per trasferirsi a Baker Street e dedicarsi alla sua più grande passione: la scrittura.  cazalet

Il 1951 vede la pubblicazione del suo primo romanzo The beautiful visit, che vince il John Llewellyn Rhys Memorial Prize, ricevendo delle ottime recensioni. La stima che la critica nutre nei suoi confronti è una lama a doppio taglio, perché i suoi romanzi per quanto impeccabili nello stile parlano pur sempre di matrimoni e vita coniugale, quindi Elizabeth Jane Howard altro non è che un’ottima “scrittrice per signore”. Come se non bastasse, lei stessa è molto bella e sensuale, con una vita sentimentale turbolenta dopo la separazione dal marito. Come prendere sul serio una scrittrice di tale calibro?

Ciò che la critica non aveva afferrato – ricordiamoci che siamo pur sempre attorno agli anni ’50 – è la capacità di Jane Howard di analizzare e scandagliare l’animo e la natura umana attraverso la lente d’ingrandimento che lei, come tutte le donne della sua generazione, aveva a portata di mano e meglio conosceva: il matrimonio.

Il suo secondo romanzo pubblicato nel 1956 ne è un esempio esaltante. Il lungo sguardo (anch’esso edito in Italia da Fazi Editore) racconta la storia di un matrimonio andato in frantumi narrato a ritroso nel tempo, dal 1950 fino al 1926. Il romanzo definito da Hilary Mantel «tecnicamente magistrale» è un fedele ritratto degli uomini del tempo: Conrad Fleming è una persona superba ed estremamente egoista con l’unico obiettivo di rendere la moglie Antonia perfetta, un personaggio di fantasia che ancora una volta è uno specchio immacolato della donna dell’epoca che non aveva altra professione nel passaporto se non quello di “donna sposata”.

Poco più tardi Jane fa un incontro folgorante che le cambierà per sempre la vita. Kingsley Amis è uno degli scrittori più in voga dell’epoca, bello, ricco, osannato dalla critica; lascia la moglie per Jane, che sposa il 29 giugno 1956,e diventano una delle coppie più glamour della Swinging London. Ancora una volta però non è tutto oro quello che luccica, perché il matrimonio si rivela un’unione impari: Kingsley infatti è spesso ubriaco e Jane non ha tempo per scrivere, dovendo occuparsi interamente della casa, dei figli e di intrattenere gli innumerevoli ospiti che invitano.

La situazione degenera e nel 1980 Jane lascia Kingsley che da quel momento le porterà sempre rancore, rinfacciandole addirittura fino alla morte di aver distrutto il suo primo matrimonio. L’unico legame che le resta di quest’unione è con il figliastro Martin Amis, oggi scrittore di successo, che la convince anni dopo a scrivere l’opera della vita, nonché storia romanzata della sua famiglia, ovvero Gli anni della leggerezza.

La saga dei Cazalet, nelle previsioni composta da quattro romanzi che raccontano le vicende della suddetta famiglia a partire dal 1937 fino al 1947, raggiunge un successo tale che l’autrice decide di scrivere un quinto e ultimo volume dal titolo Tutto cambia, ambientato nel 1956 e pubblicato da Fazi nel settembre di quest’anno.

Se analizzato in superficie Gli anni della leggerezza può essere percepito come un romanzo corale che narra le vicende di una ricca famiglia inglese, che molti hanno paragonato alla serie televisiva britannica Downton Abbey. Tuttavia se scaviamo più a fondo emerge un intero mondo letterario fatto di sogni giovanili, amori non corrisposti, rimpianti che si fanno più amari con la consapevolezza interiore ma sempre taciuta di una guerra imminente che cambierà tutto e che potrebbe radere al suolo qualunque cosa costruita finora.

Nella famiglia Cazalet, da cui affiorano a ogni pagina gli elementi della storia personale dell’autrice, si dipanano le vicende dei capostipiti della famiglia William chiamato “Il Generale” e la moglie Kitty “la Duchessa”, la perfetta incarnazione della donna tardo-vittoriana: «La Duchessa non avrebbe mai preso in considerazione l’idea che la forza di una tentazione fosse un buon motivo per cedere a essa» (p. 246). Con loro ci sono i figli con le loro mogli e nipoti e l’unica figlia femmina Rachel, nubile e omosessuale. Ci sono Hugh e Sybil, Edward e Villy, e Rupert sposato in seconde nozze con la bellissima e giovane Zoë.

Villy come la madre di Jane è un ex ballerina che si trova di fronte al fatto compiuto della bellezza effimera, la vecchiaia si avvicina per lei alla stessa velocità dell’avanzare della guerra. Lei, una donna avvenente e sensuale, è costretta a 40 anni a dover mettere la dentiera e a guardare il suo corpo allontanarsi dall’idea di bellezza classica, e costantemente sfidata dalla dolce, giovane e imbronciata Zoë. Quest’ultima tuttavia sa di essere considerata solamente bella dalle persone attorno a lei, tanto da utilizzare il suo fascino a proprio vantaggio, perfino con suo marito, che però ne è consapevole. «La sua pelle aveva la freschezza dell’alabastro, la lucentezza di una perla, il colore bianco di una rosa. Cose che pensò ma non disse: la segreta adorazione che provava per lei non andava condivisa. Sapeva confusamente che lei e la sua immagine erano due entità distinte, e che poteva restare avvinghiato all’immagine solo osservando quel riserbo» (p. 179).

La cornice familiare è composta anche dal fedele stuolo di servitori e istitutrici, figure fino a poco tempo fa lasciate in secondo piano, in particolare Miss Milliment: commiserata da tutti i membri della famiglia perché anziana e nubile, come a dire che non ha avuto la fortuna destinata alle donne di varcare le soglie della chiesa in abito bianco.

I sogni e i desideri dei giovani Cazalet si scontrano inesorabilmente con le paure del conflitto alle porte, la loro è una giovinezza segnata dal tentativo di scalfire l’egoismo degli adulti quasi indifferenti allo scoppio di una guerra che avevano già vissuto. «Qualcuno l’ascoltava mai? Qualcuno ascoltava mai qualcun altro? O erano tutti talmente assorbiti da se stessi da riuscire ad ascoltare solo ciò che li compiaceva?» (p. 531).

La saga dei Cazalet è la vera eredità dell’autrice che ha visto la pubblicazione dell’ultimo capitolo poco prima di morire. Si dice che avesse nel cassetto l’intenzione di scriverne un sesto, ma purtroppo dobbiamo accontentarci e leggere d’un fiato i cinque volumi che ci ha regalato.

Federica Chimenton   cazalet

(www.excursus.org, anno IX, n. 87, novembre-dicembre 2017)  cazalet