Le Belle Addormentate – Antonio Mocciola

di GIORGIA RAPTIS – «Ed oggi, cosa ci va a fare un turista a Borgo Schirò? Ci va per vedere un bell’esempio di architettura fascista, annegato dalle erbacce e dalla monnezza. Per ragionare sull’eterno, pirandelliano ma anche sciasciano, problema siciliano. Per contemplare un monumento incompiuto che emana poesia e dubbi in paritaria quantità. Attorno, i campi di grano parlano di vita e di rinascita, mentre l’uomo costruisce e distrugge, ma soprattutto dimentica».

Antonio Mocciola, nel libro Le Belle Addormentate. Nei silenzi apparenti delle città fantasma. Alla riscoperta di un’Italia dimenticata (Betelgeuse Editore, pp. 184, € 12,00), conduce il lettore alla riscoperta di interi paesi che furono vita e centri importanti, ma che col tempo, a causa di smottamenti, bombardamenti, terremoti, alluvioni, sono stati abbandonati e, oggi, giacciono dimenticati, perlopiù in luoghi ormai di difficile raggiungibilità, semplici prede della Natura che ora regna sovrana.

Il volume si presenta come una «cartina turistica letta al contrario», lontana dalla guide tradizionali e dai luoghi presi d’assalto dai vacanzieri, un viaggio tra le montagne, le isole e le pianure di un’Italia perduta, tra città fantasma, borghi abbandonati e ormai dimenticati e sconosciuti, ma che raccontano e conservano la nostra storia, appartengono ai nostri avi e parlano anche di noi, del nostro passato, esprimendo al contempo un monito per il futuro: «Nei paesi abbandonati, restituiti alla furia e alle carezze della natura, puoi ancora ascoltare il suono dei tuoi passi e le armoniche della tua voce; tra i ricordi e le ombre ogni sussurro diventa eco, mentre il silenzio apparente riporta d’incanto vibrazioni dimenticate».

Sono svariati i motivi che possono condurre all’abbandono di un centro abitato. A volte colpevoli sono le catastrofi naturali, come è accaduto a Craco, in Basilicata, borgo di origine medievale che conserva ancora il Castello, la Cattedrale, il Palazzo Baronale e le strade di ciottoli, ma in cui «a mancare è il respiro umano. Il vento si appropria delle pietre abbandonate, scuote le fronde, apre e chiude i battenti di legno delle finestre, s’insinua tra le feritoie e urla. Spadroneggia. Ora che nessuna forma di vita si oppone all’alternarsi delle stagioni, la pioggia e il sole, la neve e la polvere sbranano quel che resta ancora in piedi». Abbandonato nel 1963, a causa di una grande frana, fu riscoperto da Mel Gibson durante le riprese di The Passion, una scelta che tuttavia non bastò a ridare dignità a Craco, nuovamente lasciato a se stesso e dimenticato una volta terminato il film.

Può succedere invece che il responsabile sia un violento terremoto, rimasto impresso nella memoria attraverso un orologio fermatosi all’ora del scisma, come è accaduto a Senerchia, in Campania, un paese che viveva dell’acqua dei suoi torrenti, ma di cui ora rimangono solo una chiesa restaurata, ma chiusa, e qualche resto del castello e delle case. Un luogo, tuttavia, dove l’acqua «scorre ancora, impetuosa e gelida, a parlare di vita. Uno sberleffo, a volere essere cinici. Un segno di speranza, in caso contrario. Il verde accecante tra le rovine, ad ogni modo, resta dentro. Paradiso e Inferno nella stessa cartolina».

Non bisogna credere, nondimeno, che la Natura sia l’unica causa dell’abbandono di interi paesi. A volte è l’uomo stesso a segnare il destino dei suoi simili. Il Trentino Alto Adige oggi è sinonimo di ricchezza e efficienza, ma appena cinquant’anni fa «accadeva che la fame, l’emigrazione, l’isolamento, la guerra, spopolassero questa terra belle e crudele, provocando irreparabili guasti antropologici e facendo precipitare la demografia». Nell’Italia del Dopoguerra l’esigenza di energia idrica condusse le Regioni a costruire dighe allo scopo di creare invasi artificiali, allagando intere valli e paesi, senza che ciò rappresentasse una preoccupazione o un ostacolo.

Oggi, quando si arriva in Alta Val Venosta, si rimane incantati dal paesaggio che si prospetta davanti ai propri occhi, dalle montagne e dal quel «lago azzurro, dall’aspetto pacifico, che lambisce morbide rive erbose e frastagliate. Mucche pascolanti, un vago odore di malga alpina. E in mezzo al lago, alto e impavido, svetta un campanile. Là sotto c’è la chiesa, là sotto c’è l’antica Curon Venosta». Dell’antico borgo, ora ricostruito più a monte, rimane solo il Campanile, e un museo che spiega la costruzione dell’invaso, ricordando il 1950 e la tragedia umana, quando l’acqua iniziò a inghiottire le strade e i paesi, sfrattando intere famiglie, la maggioranza delle quali decise di partire per cercare fortuna altrove. Curon Venosta, oggi, è turistica. La strada per arrivarci è lunga, ma agevole, e costeggia il lago, passando di fianco al Campanile, che rimane lì, a ricordo e a monito per il futuro di un paese che «ha pagato il conto al progresso, il progresso chiude in una cartolina il simbolo di un delitto forse non necessario». Il Campanile, insieme al museo, ritrae uno dei pochi esempi di salvaguardia e conservazione della memoria in Italia, e va tenuto d’esempio, per il recupero di altre realtà locali.

Un’altra idea di valorizzazione è rappresentata dalla creazione di un albergo diffuso, come è accaduto a Santo Stefano di Sessanio, in Abruzzo, dove un imprenditore innamoratosi del luogo è riuscito ad attirare ulteriori investitori, rimettendo in moto un paese la cui fine sembrava segnata, rappresentando una «fiaba a lieto fine, che ha saputo resistere alle scosse della natura e della storia». Il tema del viaggio è l’elemento centrale del libro, un viaggio che sia conoscenza, ricerca delle proprie radici, della storia dimenticata e di se stessi. Un itinerario che prende forma come fotografie di tempi andati e ormai dimenticati, di culture disperse a cui Mocciola cerca di restituire dignità, proponendo un reportage antropologico e storico, esito di anni in cui ha percorso in lungo e in largo l’Italia, affrontando strade sterrate e ignorate dai navigatori satellitari.

Un volume che ricorda la struttura delle guide turistiche, con una cartina dell’Italia collocata all’inizio dove sogno segnati gli ottantadue borghi di cui si andrà a parlare, per dare loro una collocazione geografica. Ad ogni paese sono dedicate due pagine, in rari casi quattro, con descrizione degli stessi e le indicazioni per arrivarci. Perché si parla di paesi lontani dall’interesse turistico, che fuggono alle normali mappe e a volte di difficile raggiungibilità: bisogna abbandonare la macchina e proseguire a piedi, su sentieri più o meno segnati, affrontando lunghi cammini, ma al cui arrivo si viene ripagati dalla magnificenza dei luoghi.

Nessuna agenzia turistica consiglierebbe questi itinerari, e lo scopo di Mocciola viene ad essere proprio far conoscere quell’Italia che sembra estinta ma che è necessario preservare, alla scoperta del silenzio e della bellezza ancora intatta, al contrario delle grandi mete turistiche. Come raccomanda Fabio Di Bitonto nella Prefazione, se si legge questo testo «senza troppa voracità, soffermandosi ogni tanto, chiudendo gli occhi e immaginando, vi troverete a sentire i profumi dell’Aspromonte, il rumore del vento che vi porta lontane tarantelle cilentane miste alle onde del mare; sentirete sulla pelle l’umidità della nebbia mista ad aria ferrosa e le grida di chi, con la ferita ancora aperta, chiede giustizia alla natura».

Giorgia Raptis

Nell’immagine di apertura: veduta del paese abbandonato di Craco, in Basilicata.

(www.excursus.org, anno VII, n. 70, maggio 2015)