A passo di tartaruga – Rosario Centorrino

di ROSSELLA GLODER – L’amore esiste. Nasce tra esseri affini, spiriti comunicanti; anime che si capiscono solo guardandosi, che si riconoscono solo sfiorandosi; entità che si uniscono in un semplice abbraccio, in una lacrima, in un silenzio; che si cercano tra mille difficoltà e si trovano in un momento di perfetta felicità. Rosario Centorrino

Ma, soprattutto, l’amore non conosce genere: come potrebbero delle anime che si fondono in un’unica energia essere definite “femminili” o “maschili”? E non conosce numero: è un tutto indivisibile formato da sottoinsiemi di elementi complementari. Questo è quello che ci insegna Ale, una giovane donna seduta nell’anticamera di un ospedale.

È lì immobile da ore, in attesa dell’inesorabile confronto con un sovrintendente di polizia, tenuta sveglia da una serie infinita di caffè corroboranti (lei che di solito ne beve solo due al giorno…), intenta a cercare di ricordare o, meglio, di rivivere i suoi ricordi per non soccombere allo scorrere capriccioso degli eventi.

Ed ecco affiorare dalla memoria della voce narrante tre identità distinte ma accomunate da un unico destino: Ale, la protagonista, una ragazza confusa ma tenace che lotta imperterrita per conquistare quella stabilità che la vita sembra negarle. Bea, la sua migliore amica, un fiore delicato capace di bucare l’asfalto, equilibrata e sicura pur nella fragilità di un’angelica dolcezza; Marco, il fidanzato di Bea, il principe della loro fiaba: bello, forte, solare e di animo nobile. Tre corpi, una sola anima. Sì, perché la loro non è una semplice amicizia: è una simbiosi, un’osmosi, un senso di urgenza che rasenta la dipendenza e teme l’astinenza.

Nel suo primo romanzo Rosario Centorrino – classe 1981, nato a Messina, laurea in Scienze Motorie e Sportive – affronta in modo molto personale due dei temi più controversi della società attuale: l’omosessualità e l’omofobia. La questione non si esaurisce con tanta facilità: A passo di tartaruga (Edizioni Smasher, pp. 134, € 10,00) non si pone come una trattazione psicologica di particolari comportamenti sociali e non offre un’analisi morale della natura umana; soprattutto, non dà giudizi e non lascia trasparire pregiudizi. L’autore supera d’un balzo inevitabili quanto trite e ritrite discussioni su un tema difficile, per guardare al problema da un punto di vista più elevato, direi “filosofico”. Ci piace pensare che questa storia sia la sua personale versione del mito platonico degli androgini, che si cercano per ricostruire l’originaria unità.

Rosario Centorrino apre il suo cuore ed espone il suo concetto d’amore. Da una parte pone sul piatto della bilancia il peso di saccenti insegnamenti di una tradizione – religiosa, soprattutto, ma anche sociale e politica – che, non conoscendo nemmeno lei dove sta di casa la verità, si pone come l’unica via percorribile per vivere “nel giusto”. Dall’altra parte assume il punto di vista di una ragazza come tante, Ale, immersa nella vita di tutti i giorni, con i suoi mille problemi, desideri, aspirazioni, paure e dubbi. La protagonista è un “essere” che viene travolto da emozioni sconosciute senza neanche rendersene conto, senza volerlo e senza averlo mai creduto possibile (traspare forse in ciò un ammonimento al lettore pregiudicante?…): «ciò che avevo seppellito […] come un essere dotato di vita propria era cresciuto, si era nutrito della mia ingenuità, del mio tormento»; è un’anima preda di eventi che possono elevare a vette inimmaginate o far sprofondare in abissi sconosciuti e aborriti, a volte contemporaneamente.

Con buona pace della morale perbenista, il tanto stigmatizzato sesso “perverso” in tutta questa storia ha un ruolo del tutto marginale. Il corpo è solo il mezzo ”terreno” che consente agli spiriti affini di unirsi in una superiore perfezione, aprendo la porta della gabbia materiale che li tiene prigionieri: «Non fu nulla di sessuale […] nessuno […] pensò in quel momento alla propria soddisfazione, al proprio appagamento sensoriale […] volevamo solo avere la possibilità di poterci donare, di poter accogliere dentro il nostro cuore ciò che ognuno di noi sapeva da tempo. Quella notte, non è esistito nessun corpo». Ciò che Ale prova è una sensazione che non può descrivere se non con quella tranquillitudine concepita da Marco: uno stato di «tranquilla beatitudine»; di verità assoluta; di totale arresa nella fusione completa di anime innamorate; di conquista di uno stato di perfetta completezza spirituale «senza doversi schermare con delle menzogne conformistiche».

In un primo momento, Ale non si interroga sulla natura dei suoi sentimenti; semplicemente, li vive e si lascia vivere da essi. Solo in seguito il veleno della morale tenterà di contaminare la creatura che si è formata dall’unione spirituale dei tre ragazzi. Ale è la tartaruga di Bea, che la raccoglie ferita su una spiaggia e la cura per permetterle di riprendere il viaggio nei suoi «sogni di mare spumeggiante».

La protagonista  ̶  in cui ognuno di noi, uomo o donna, potrebbe identificarsi  ̶ nel timore di non essere accettata, di essere prima o poi abbandonata (da chi ama più di se stessa e, inconsciamente, da una società che condiziona inesorabilmente la sua vita) si arena in una spiaggia fatta di infondate paure: perché Bea e Marco, i complementi della sua anima incompleta, la ameranno sempre di un amore incondizionato e leale, e lei diventerà parte integrante e insostituibile della loro famiglia. Ebbene, l’amore raccontato da Rosario Centorrino è quello che non riusciamo a vivere pienamente per paura del giudizio degli altri o, inconsciamente, di noi stessi, mangiati vivi dalle nostre insicurezze e sensi di colpa o dal timore di perdere la “rispettabilità” che crediamo di aver raggiunto; è qualcosa di simile all’emozione che “nel buio clandestino di quella stanza poteva rivelarsi per ciò che era, poteva uscire allo scoperto”.

Purtroppo, si sa, la perfezione terrena non esiste. Anche se Ale è convinta che non sempre quanto di buono ci viene dato dal fato debba essere restituito in pari misura, la vita ci insegna che non siamo nati per soddisfare i nostri desideri. Un ordine superiore sembra muovere le fila della nostra esistenza: tutto può prendere una piega diversa da quella che ci aspettavamo, l’edificio costruito con tanta fatica può crollare in un battito di ciglia. Ciononostante, quando la strada che abbiamo imboccato finisce di colpo in un burrone, il salto nel vuoto ci può far atterrare all’inizio di un nuovo sentiero: un percorso creato un passo dopo l’altro, lentamente, a volte con sacrificio, spesso fermandoci incerti sulla direzione da prendere; ma sempre decisi ad andare avanti e a perseguire il nostro bene e quello delle persone che amiamo: un cammino a passo di tartaruga. Il guscio di Ale curato amorevolmente dovrà rafforzarsi da solo col tempo, e Ale dovrà imparare a nuotare autonomamente. Una volta recuperate le forze, toccherà a lei raccogliere una tartarughina spiaggiata.

Con una prosa semplice e scorrevole, ma densa di affondi che scandagliano nell’intimo l’animo umano, Rosario Centorrino ci spinge a pensare se è davvero necessario dare una definizione categorizzante a tutto quello che non rientra nei canoni della “normalità”. Soprattutto, ci porta a riflettere se l’amore raccontato in questa storia è veramente tanto “sbagliato” e “diverso” da tutti quegli amori in cui ci si dona senza chiedere nulla in cambio, in cui la presenza dell’altro è condizione necessaria della propria esistenza. L’autore ci rivela che la verità assoluta è accessibile a tutti, e risiede dentro i cuori di chi si ama.

Rossella Gloder Rosario Centorrino

(www.excursus.org, anno VI, n. 65, dicembre 2014) Rosario Centorrino