Il soccombente – Thomas Bernhard

di ALICE TORREGGIANI – «[…] questi soccombenti e questi uomini da vicolo cieco ce la mettono tutta per tiranneggiare il mondo che li circonda e uccidere a poco a poco le persone che li frequentano, mi dissi. Per deboli che siano, e proprio perché la debolezza è radicata profondamente nella loro natura e costruzione, essi hanno la forza di esercitare sul mondo che li circonda un effetto devastante, pensai». Queste sono le parole con cui viene tragicamente descritto Wertheimer, uno dei tre personaggi attorno cui Thomas Bernhard costruisce una narrazione insolita e sconvolgente: stiamo parlando de Il soccombente (traduzione di Renata Colorni, Adelphi, pp. 186, € 10,00), primo romanzo di una trilogia dedicata alle Arti.

I protagonisti sono tre studenti di musica che frequentano il Mozarteum di Salisburgo negli anni Cinquanta, sotto la guida del maestro Vladimir Horowitz. Tra di loro si instaura una solida e duratura amicizia, segnata però da una moltitudine di contraddizioni. Uno dei tre è il celebre pianista canadese Glenn Gould, che spicca sugli altri per l’incredibile abilità nel suonare: è il classico genio, colui che non ha bisogno di sforzarsi di primeggiare o brillare perché è nato già fatto, compiuto, realizzato. Irraggiungibile.

Ed è proprio questo suo dono a scatenare nei compagni una serie di emozioni e azioni che li portano a conseguenze estreme e dolorose. Wertheimer ‒ il più fragile e insicuro dei due ‒ prima abbandona la musica, poi si suicida, incapace di sopportare l’idea di non poter mai arrivare a eguagliarlo e, inoltre, sbeffeggiato dal destino, che toglie la vita a Gould prima del tempo, rendendolo, se possibile, ancora più ammirato, quasi mitico.Thomas Bernhard

Tema centrale del romanzo è infatti la rinuncia, il totale fallimento, come effetto dell’invidia e della consapevolezza di non essere i migliori. Non esiste una via di mezzo nell’arte: si prevale o si soccombe. Wertheimer è un soccombente. Rinuncia alla propria passione e al proprio sogno nel momento in cui sente per la prima volta Gould suonare le Variazioni Goldberg di Bach e si rende conto che esiste un abisso tra di loro, e che per quanto possa essere un virtuoso del pianoforte, il più bravo, Gould sarà sempre il migliore, il primo.Thomas Bernhard

Dal suicidio di Wertheimer prende il via la narrazione, che è un cammino a ritroso nella mente del terzo amico, narratore in prima persona. Non ne conosciamo il nome, ma potrebbe essere identificato con Bernhard stesso, in quanto il romanzo è in parte autobiografico. Si tratta di un unico lungo monologo, un flusso ininterrotto di pensieri, che non lascia spazio a pause o respiri. È una lettura di primo acchito straniante, quasi faticosa, poiché non lascia il tempo di elaborare ciò che è appena avvenuto, nemmeno visivamente, mancando qualsiasi tipo di divisione del testo, persino gli “a capo”.

Tale effetto è enfatizzato dalla continua e ossessiva ripetizione di concetti, tipica del libero flusso di pensieri, che fa sì che il narratore risulti insopportabile al lettore: non si può fare a meno di provare nei suoi confronti una certa antipatia. Eppure questa tecnica narrativa calza alla perfezione, perché rende in modo assolutamente efficace l’affanno e il tormento provati, che diventano i veri protagonisti del romanzo.

Si ha l’impressione che i sentimenti siano talmente devastanti al punto da travolgere, fino a diventare più importanti dei personaggio, surclassandoli. In particolare Wertheimer, vero fulcro della storia, è completamente in balia delle proprie emozioni: inquieto, profondamente insicuro e, di conseguenza, infelice e amaro nei confronti della vita e dell’uomo. Questa sua insicurezza, tratto fondamentale della sua personalità, è resa lampante attraverso il morboso attaccamento che ha nei confronti della sorella, che fa quasi sua prigioniera, impendendole di condurre un’esistenza normale e felice.

È inoltre fortemente solo, come anche Gould e il narratore. La solitudine appare infatti come caratteristica congenita dell’artista, una maledizione, nonostante il successo e l’ammirazione che riceve. Egli vive eternamente isolato dal mondo, sia fisicamente che non, e sembra non riuscire a godere dei piaceri e della gioia che il resto degli uomini hanno.Thomas Bernhard

Un altro tratto in comune dei tre pianisti è il loro sofferto e contraddittorio rapporto con la città, sia essa Vienna, Salisburgo o Madrid. Affermano di odiare la campagna e l’isolamento, ma poi si mostrano insofferenti al caotico ambiente cittadino, esprimendo più volte il desiderio di allontanarsene. La città è vista come un luogo ostile e soffocante, e anche il lettore prova un senso di claustrofobia nell’entrarci attraverso le parole del narratore.

«Un suicidio lungamente premeditato, pensai, non un atto repentino di disperazione». Così si parla del suicidio di Wertheimer. Sono le prime parole che leggiamo, all’inizio del libro; in realtà, potrebbero anche essere le ultime, poiché la sua morte apre e chiude una lunga serie di ricordi e riflessioni che hanno inizio e fine in questo atto estremo, ma non disperato, semplicemente epilogo di un’esistenza tormentata e infelice. Wertheimer è destinato a togliersi la vita, o così pensa il narratore, nonostante sia l’amico stesso più volte a dirgli che sarà lui a suicidarsi, come per esorcizzare una propria inquietudine.Thomas Bernhard

Ciò che più colpisce è come sia imprescindibile parlare di Gould quando si parla di Wertheimer. È come se l’esistenza del primo fosse necessaria a quella del secondo, o almeno necessaria per darle un senso. In effetti, l’intera vita del soccombente è determinata da quella del genio, poiché è un continuo confronto con essa. Questo è ciò che spetta ai soccombenti, non avere nemmeno il diritto di possedere completamente la propria esistenza. Lo stesso appellativo di soccombente gli viene affibbiato da Gould, che in questo modo sembra attribuirgli non solo un termine, ma anche delle caratteristiche precise, destinandolo ad una vita da «uomo da vicolo cieco». Capiamo il potere immenso e distruttivo della parola, che ha degli effetti concreti, determina gli eventi e si fa realtà. In questo caso, è una vera e propria sentenza.

Alice Torreggiani

(www.excursus.org, anno IX, n. 82, aprile 2017)