Come i servizi segreti stanno cambiando il mondo – Giannuli

di GIUSEPPE LICANDRO – La dissoluzione dell’Unione Sovietica, nel dicembre 1991, determinò l’avvento di un nuovo ordine mondiale, segnato dalla globalizzazione economica e dal predominio militare degli Stati Uniti, che è perdurato fino alla crisi finanziaria del 2008 e agli insuccessi patiti dalla Nato nelle guerre mediorientali. Aldo Giannuli

Nell’ultimo decennio la politica mondiale è cambiata in direzione di un sistema multipolare, in seguito all’affermazione­ della Cina (in campo economico) e della Russia (in ambito militare), cui ha corrisposto il ridimensionamento degli Usa e l’inizio di una nuova Guerra Fredda. I rapporti internazionali sono mutati anche in virtù dell’azione esercitata dagli apparati di spionaggio, che hanno sempre supportato la politica estera delle grandi potenze e ne hanno protetto la sicurezza dalle minacce interne ed esterne.

Oggi i servizi segreti sono diventati uno dei mezzi più efficaci per affermare la politica di potenza di una nazione, attraverso la «guerra non convenzionale» o «asimmetrica» che utilizza nuove strategie di attacco come la cyberwar (la manipolazione dei sistemi di comunicazione), lo spionaggio industriale, la destabilizzazione monetaria, il sostegno del terrorismo e l’istigazione di rivolte popolari.

Dei nuovi scenari internazionali e della centralità assunta dagli apparati spionistici nel mondo attuale parla diffusamente il saggio Come i servizi segreti stanno cambiando il mondo. Le strutture e le tecniche di nuovissima generazione al servizio delle guerre tradizionali, economiche, cognitive, informatiche (Ponte alle Grazie, pp. 286, € 16,90), pubblicato dallo storico Aldo Giannuli, che nell’Introduzione si propone l’obiettivo di spiegare «come l’intelligence abbia iniziato a cambiare il mondo innanzitutto nella politica e nell’economia».

Origineed evoluzione dell’intelligence

La prima parte del saggio è dedicato alla nascita dell’intelligence moderna e alla sua evoluzione nel corso del Novecento. Pur esistendo già nell’Ottocento gli antesignani dei servizi segreti odierni (come la Sûretéin Francia e l’Ochrana in Russia), fu la Prima Guerra Mondiale a stimolare lo sviluppo di apparati di spionaggio ben articolati, in grado di boicottare il nemico e carpire informazioni utili alle operazioni militari.

Spie come Mata Hari o agenti segreti come Lawrence d’Arabia furono funzionali ai comandi militari e alle loro scelte belliche, mal’«operazione coperta»più redditizia fu compiuta dall’intelligence tedesca che,permettendo a Lenin di tornare in patria su un treno blindato, favorì la rivoluzione bolscevica che avrebbe poi portato alla resa della Russia.

Fu proprio l’Urss a dotarsi, nel 1917, di un potente apparato di sicurezza con la creazione della Črezvyčajnaja Komissija (Ceka), imitata ben presto da Francia, Germania, Gran Bretagna e dal regime fascista italiano, che costituì l’Ovra (con funzioni di polizia politica) e il Servizio Informazioni Militari (Sim). Gli Usa, invece, attesero il disastro navale di Pearl Harbour (1941) per dotarsi dell’Office of Strategic Service (Oss), un efficiente apparato spionistico che – sostenendo la resistenza antinazista e ingannando ripetutamente i comandi tedeschi – fu determinante per vincere la Seconda Guerra Mondiale.

Nel corso della Guerra Fredda, le due superpotenze approntarono strutture di spionaggio ancora più agguerrite. L’Urss creò due organismi di sicurezza: il Glavnoe Razvedyvatel’noe Uplavenie (Gpu), un servizio di informazioni militari, e il Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti (Kgb), che svolse compiti di natura politica ed «ebbe una notevole penetrazione anche nei circoli dirigenti occidentali». Gli americani, dal canto loro, ristrutturarono l’Oss, dando vita alla Central Intelligence Agency (Cia), un servizio segreto «pensato soprattutto per l’estero, a dominante politica e non militare», che si attrezzò per contenere la diffusione del comunismo su scala globale.

La Cia, il Kgb, e gli altri organi di intelligence più importanti dell’epoca (Bnd tedesco-occidentale, Dgse francese, MI5 inglese, Sifar italiano, Stasi tedesco-orientale, ecc.) si specializzarono in azioni di spionaggio che contemplavano «il forte uso di macchine di intercettazione, fotografia a distanza, per la captazione di segnali di ogni genere», conferendo maggiore rilevanza alle fonti informative di natura tecnica rispetto a quelle esclusivamente umane.

Non potendo puntare alla distruzione diretta dell’avversario, le due superpotenze elaborarono strategie di reciproco contenimento che facevano ricorso a «forme di guerra non ortodossa come le guerriglie, gli attentati, i sabotaggi», nelle quali rientrarono sia la strategia della tensione in Italia, sia gli innumerevoli colpi di stato organizzati tra il 1960 e il 1973 in giro per il mondo (Algeria, Argentina, Birmania, Cile, Congo, Ecuador, Filippine, Grecia, Honduras, Indonesia, Libia, Pakistan, Somalia, Sudan, Uruguay, eccetera).

La «rivoluzione marziale» e la nuova intelligence

La caduta dell’Urss ebbe enormi conseguenze sul piano bellico e accelerò la «rivoluzione marziale» iniziata negli Usa a metà degli anni Settanta, allorché le forze armate statunitensi si erano convertite alla tattica militare basata sul blitzkrieg, cioè sulla “guerra-lampo”che si sforzava di «concentrare le proprie forze dove il nemico è più debole», evitando le incognite della “guerra di logoramento”sperimentata in Vietnam con esiti sfavorevoli.

Anziché affidarsi esclusivamente al reclutamento di massa – che aveva innescato le vivaci proteste studentesche degli anni Sessanta – gli strateghi americani puntarono sulla «rinascita del mercenarismo» e assoldarono compagnie militari private che coadiuvavano l’esercito regolare «nel campo della formazione militare, del supporto logistico alle operazioni militari, dello sminamento», partecipando talvolta anche agli scontri armati.

In quegli anni, i governi statunitensi concepirono un nuovo tipo di intelligence, cui venne demandato il compito di «prevedere, prevenire, contrastare», grazie all’ausilio di Echelon, l’infrastruttura satellitare in grado di raccogliere e analizzare i Sigint (Signal Intelligence), ossia di «intercettare qualsiasi telefonata, mail o messaggio elettronico».

Gli attentati newyorkesi dell’11 settembre 2001, tuttavia,innescarono un senso di instabilità e insicurezza nella nazione americana, che da allora in poi è entrata in una sorta di guerra permanente contro il terrorismo islamico, combattuta spesso con mezzi non convenzionali: i droni, in grado di spiare e colpire il nemico senza rischi per i soldati; ibig data, cioè lo «stoccaggio di enormi quantità di informazioni in spazi ridottissimi»; gli algoritmi, in grado di individuare i dati web più interessanti sul piano investigativo.

Gli stessi agenti segreti hanno cambiato il proprio identikit: da meri spioni o freddi killer si sono trasformati inabili esperti di tecnologia e cultori dei nuovi campi del sapere come «la connettografia, […] le neuroscienze, le scienze cognitive e la geopolitica e geoeconomia», dovendo necessariamente possedere un’istruzione a livello universitario, una buona conoscenza delle lingue e una grande familiarità con l’informatica.

Verso un nuovo ordine multipolare

Gli insuccessi patiti dalla Nato dopo il 2001 in Afghanistan, Iraq, Siria e Ucraina, tuttavia, hanno dimostrato i limiti di una politica estera basata sulla guerra-lampo, creando i presupposti – insieme alla lunga crisi economica che ha messo in ginocchio l’Occidente – per l’avvio di una fase di transizione delle relazioni internazionali verso il multipolarismo.

La fine del predominio economico-militare americano ha determinato una situazione caotica, segnata da cruenti conflitti – Iraq, Libia, Siria, Ucraina, Yemen – che hanno provocato imponenti flussi migratori, e dalla comparsa di potenze regionali – Cina, India, Russia, Turchia – che agiscono in difesa dei propri interessi nazionali, senza però stringere tra loro intese militari.

Secondo Aldo Giannuli, poiché «due paesi alleati su una determinata questione sono nemici per un’altra», l’attuale scenario mondiale implica il costante rovesciamento delle alleanze e la periodica insorgenza di guerre locali, senza che si possa escludere a priori lo scoppio di un conflitto globale.È per queste ragioni che, a livello mondiale, si pratica ormai diffusamente la «guerra asimmetrica», coinvolgendo direttamente i servizi segreti.

Gli Usa rimangono i più attrezzati sul piano dello spionaggio e delle «operazioni sotto copertura», poiché dispongono, oltra alla Cia, anche della Federal Bureau of Investigation (Fbi) e di altre agenzie di intelligence come la National Security Agency (Nsa, che gestisce Echelon), la Defense Intelligence Agency (Dia, il servizio segreto militare), la Drugs Enforcement Administration (Dea, che contrasta il narcotraffico) e gli apparati informativi dei Dipartimenti del Gabinetto del presidente.

La Russia, dal canto suo, ha potenziato il vecchio Gru, affiancandogli la Federal’naja služba bezopasnost (Fsd), il nuovo servizio segreto che ha ereditato le funzioni del disciolto Kgb, al cui interno è attiva la Federal’noe Agenstvo Pravitel’stvennoj Svjazi i Informacii(Fapsi), un’agenzia federale che si occupa di Sigint e controlla «tutte le attività di spionaggio e controspionaggio effettuate sul web». Vladimir Putinpuò fare affidamento anche sullo Služba vnešnej razvedki (Svr), il servizio segreto estero che gestisce le «azioni di influenza», sospettato di aver condizionato – tramite l’hackeraggio sul web – le ultime elezioni presidenziali negli Usa in favore di Donald Trump. Aldo Giannuli

La Cina si sta preparando «a un confronto serrato con gli Usa per il controllo delle rotte marittime» e, per questo motivo, si è attrezzata col «più grande servizio segreto del XXI secolo» che può vantare quattordici agenzie investigative dirette da un’apposita commissione del Partito Comunista Cinese. Il fiore all’occhiello dell’intelligence cinese è costituito dall’attività di spionaggio finalizzata a carpire segreti industriali e a copiare prodotti commerciali per poter poi scatenare una «guerra economica» contro gli avversari. Aldo Giannuli

Anche alcune tra le potenze minori hanno rafforzato i propri apparati di spionaggio, in particolare Israele che ha affiancato al tradizionale ed efficiente Mossad tre ulteriori servizi di sicurezza (Amar, Shabak, Unit). In ritardo coi tempi, invece, appaiono gli stati dell’Unione Europea che, pur avendo istituito la Politica estera e di sicurezza comune, non sono riusciti a dotarsi di una struttura di intelligence unitaria, mantenendo separati i propri servizi, i quali spesso si dimostrano impreparati nella lotta contro lo jihadismo.

L’eccezione, in tal senso, è rappresentata dall’Italia che ha sventato finora gli attentati islamisti, grazie a quattro ragioni: 1) l’esperienza maturata negli anni Settanta e Ottanta dai nostri servizi segreti nella lotta contro il terrorismo politico; 2) la mediazione svolta nei confronti del mondo arabo dall’Eni, che si è dotato di un proprio efficiente apparato di sicurezza; 3) la vigilanza da parte della malavita organizzata, che vuole evitare «situazioni di emergenza con l’intensificazione dei controlli di polizia»; 4) l’attività svolta dagli apparati di sicurezza del Vaticano,«interessati a prevenire attentati contro il Santo Padre».

La «guerra non convenzionale» già in atto

La seconda parte del saggio di Aldo Giannuli è dedicata alla «guerra non convenzionale» che sta cambiando il modo di intendere e di praticare la politica a livello globale. L’autore, in particolare, prende in esame quattro nuove tipologie di guerra che si attagliano perfettamente all’assunto del filosofo cinese Sun Tzu,secondo il quale«la più grande vittoria è quella che non richiede alcuna battaglia».

Il primo tipo consiste nella «guerra politica», il cui teorico più importante è stato Gene Sharp – autore del saggio Come abbattere un regime (Chiarelettere) e promotore dell’Istituto Albert Einstein – che, grazie al sostegno di facoltose fondazioni come l’Open Society di George Soros, ha formato i militanti non violenti protagonisti delle «rivoluzione colorate» o delle «primavere arabe» in Serbia (2000), Georgia (2003), Ucraina (2004), Libano (2005), Kirghizistan (2005), Myanmar (2007), Iran (2009), Tunisia (2010) ed Egitto (2011).

Il secondo tipo è rappresentato dalla «guerra economica», come ad esempio il Dieselgate, lo scandalo – probabilmente suscitato da qualche apparato di intelligence statunitense – che ha coinvolto la Volkswagen, accusata nel 2015 dall’Environmental Protection Agency (Epa)di aver installato sui propri veicoli diesel «centraline elettroniche truccate che davano risultati sottostimati rispetto alle reali emissioni di Co2». Altri due scandali analoghi, orchestrati per scoraggiare le fughe di capitali all’estero, hanno portato alla scoperta di migliaia di grandi evasori fiscali, i cui nomi sono stati pubblicati nella «lista Falciani» (2014) e nei «Panama Papers» (2016).

Nella «guerra economica»rientrerebbe pure il fosco caso di Giulio Regeni, il ricercatore italiano rapito e trucidato al Cairo nel gennaio 2015, in seguito all’intervento dei servizi di sicurezza egiziani. Aldo Giannuli, infatti, è convinto che «chi ha rapito, torturato e ucciso Regeni voleva proprio l’incidente diplomatico con l’Italia, per far saltare il negoziato sullo sfruttamento dei giacimenti gas-petroliferi al largo delle coste egiziane».

Altre forme di «guerra non convenzionale» molto frequenti sono la «guerra psicologica» e quella «cognitiva» che consentono di manipolare e distorcere le informazioni, suscitare indignazione e disorientamento nell’opinione pubblica, condizionare gli umori e i comportamenti delle masse, secondo le dottrine elaborate da noti studiosi di psicologia sociale come Gustave Le Bon e Burrhus Skinner.

Un esempio di queste ultime due tipologie di conflitto lo abbiamo visto nel 2011: durante la rivolta contro Gheddafi, fu pubblicata su vari quotidiani l’immagine del cimitero libico di Sidi Hamed, dentro il quale– secondo la didascalia di commento della foto – sarebbero state scoperte «fosse comuni dei caduti nel corso della repressione gheddafista». La notizia, tuttavia,si rivelò ben presto come una delle tante fake news usate per condizionare l’opinione pubblica e giustificare gli «interventi umanitari» della Nato.

I rischi per la democrazia

Nel mondo odierno, dunque, si sta sviluppando quello che Aldo Giannuli – nelle Conclusioni del suo saggio – definisce il «grande gioco», incentrato sulla contrapposizione fra gli Stati Uniti, decisi a mantenere il predominio globale, e le potenze emergenti che vogliono obbligare Washington ad accettare un sistema internazionale più equilibrato, fondato sul multipolarismo e la coesistenza di più potenze mondiali.

Stiamo assistendo, pertanto, a una guerra «coperta e multidirezionale», combattuta soprattutto dagli apparti di sicurezza, che sta provocando profondi mutamenti sia in campo economico, con la fine dell’era del libero mercato, sia in ambito politico, con l’avvento di regimi di tipo oligarchico «di cui i servizi di intelligence sono i più sicuri custodi».

Aldo Giannuli conclude il suo istruttivo saggio sui servizi segreti e sulle tendenze insite nella società del nostro tempo senza azzardare previsioni sull’esito dello scontro in atto tra le grandi potenze, anche se non nasconde il proprio pessimismo riguardo al futuro che incombe sull’Occidente: «se non ci sarà una rifondazione della politica, andremo incontro al deperimento della democrazia».

Giuseppe Licandro Aldo Giannuli

(www.excursus.org, anno XI, n. 91, marzo-aprile 2019) Aldo Giannuli