“Romanzo messinese” di Loteta presentato a Messina

di LUIGI GRISOLIA – Si è svolta sabato 14 maggio 2011, presso l’Aula Magna dell’Università di Messina, la presentazione di Romanzo messinese (Pungitopo, pp. 126, € 14,00), il nuovo libro di Giuseppe Loteta, già autore di Messina 1908.  Si tratta di una raccolta di racconti, prefati da Vanni Ronsisvalle, che ci riportano indietro nel tempo, ad una Messina che non c’è più.

L’incontro si è aperto con l’introduzione da parte di Maurizio Ballistreri, che ha portato i saluti del rettore, il quale non ha esitato a definire Loteta come uno dei «custodi della cultura italiana»: nei suoi scritti recupera la dimensione della memoria storica e la migliore tradizione della cultura messinese con una narrativa agile, ed emerge un vero e proprio pathos della ricerca del filo della memoria, dei ricordi, di sapore proustiano.

Molto articolato e interessante l’intervento di Sergio Palumbo, critico letterario e tra i responsabili delle pagine culturali della Gazzetta del Sud, che ha ricordato la suggestiva ipotesi formulata da Ronsisvalle nella Prefazione, ovvero che ognuno dei diciassette racconti poteva diventare un romanzo, sottolineando come spesso si pensi che il racconto sia propedeutico al romanzo, come se fosse un’opera minore. In realtà non è affatto così, e anche chi scrive solo racconti ha tutte le carte in regola per essere definito scrittore, in quanto riuscire a concentrare in poche parole un pezzo di vita richiede grandi qualità di osservatore e profonda ispirazione.

Palumbo ha evidenziato che il libro si inserisce perfettamente in un filone novellistico di tutto rispetto nella tradizione culturale messinese, incentrato sul recupero di personaggi, eventi, usanze, costumi della Città dello Stretto, che annovera tra gli altri intellettuali del calibro di Eduardo Giacomo Boner, Turi Vasile e Giacomo Longo. Uno spazio importante all’interno dell’opera è occupato dal fascismo, con innumerevoli spunti autobiografici e punte di tenerezza (non di nostalgia), ricordando, per esempio, il balilla Loteta.

Infine, il critico letterario ha sottolineato che i racconti di Loteta hanno il pregio raro di essere asciutti e mai ripetitivi, con un linguaggio raffinato ma non eccessivamente ricercato, alla luce di una scrittura chiara e scorrevole.

A seguire la relazione di Patrizia Danzè, insegnante e giornalista, che ha interpretato i vari racconti come «una discesa nella memoria-coscienza che ha aperto i cassetti e tirato fuori quello che c’era»; dopodichè, l’autore ha sentito la necessita di indagarlo e di “spargerlo” in parole sottoforma di racconti. Accattivante il titolo (Romanzo messinese), e la Danzè, chiedendosi il perché di “romanzo”, ha risposto evidenziando che tutti i racconti, messi insieme, potrebbero rappresentare appunto un romanzo, con molteplici personaggi, e con Mandanici – piccolo comune della provincia – quale luogo attorno al quale raccordare le varie storie. Emblematico è lo scritto di apertura, Aristide, appena abbozzato, in quanto è lo stigma iniziale dell’ideologia che sta dietro a tutta l’opera: recuperare il non vissuto. I racconti sono infatti sfumati, racchiusi in una bolla di tempo, “acronici”, e sta in questo la loro bellezza: «sono brevi e inesorabili, perché laddove non concludono conclude la vita e si viene intrappolati nella ragnatela della memoria».

Ha chiuso l’incontro proprio Giuseppe Loteta, giornalista, già inviato de Il Messaggero, che ha voluto ricordare che gli anni Cinquanta sono stati l’unico decennio (insieme agli anni Trenta) in cui Messina ha avuto qualcosa da dire al mondo e l’ha detta. Sono stati anni caratterizzati da una volontà di vivere e da molteplici interessi culturali: gli anni delle librerie (Ospe, Principato, D’Anna), della rassegna cinematografica, dell’architettura, e del mitico Caffè “Irrera”, che all’epoca era tutto, da luogo d’affari a luogo d’appuntamento per un gelato, a vero e proprio cenacolo culturale.

«Un periodo – ha affermato Loteta – che ha condizionato tutta la mia vita e quindi anche i miei scritti».
Una Messina che, purtroppo, non c’è più.

Luigi Grisolia

(www.excursus.org, anno III, n. 23, giugno 2011)