Nessuno scompare davvero – Catherine Lacey

di FEDERICA CHIMENTON – Quante volte ognuno di noi ha pensato di mollare tutto e partire, lasciandosi alle spalle ogni conoscenza, ogni singolo elemento che pone le basi della propria esistenza? Questa è la storia di Elyria, la protagonista del romanzo Nessuno scompare davvero (traduzione di Teresa Ciuffoletti, Edizioni Sur, pp. 246, € 16,50) opera prima dell’americana Catherine Lacey.

Elly ha una vita pressoché perfetta: lavora a New York come sceneggiatrice per un’importante rete televisiva, ha un marito con un’ottima carriera nell’ambiente universitario. La perfezione che caratterizza la sua vita è tuttavia farraginosa e solo apparente, tanto che Elly un giorno decide di fare le valigie e comprare un biglietto aereo di sola andata per la Nuova Zelanda senza farne parola con nessuno, perché la sua intenzione, la volontà nascosta nelle pieghe del suo essere, è scomparire per sempre.

All’inizio, in medias res, il lettore è catapultato nella mente di Elly e nel suo flusso di pensieri fino a esserne assorbito completamente, tanto è forte il suo punto di vista sulle vicende; più ci si addentra tra le pagine del romanzo e più si resta intrappolati nei suoi ragionamenti intricati, realizzando pian piano che la sua vita era tutto fuorché idilliaca. Il lettore riannoda la matassa degli eventi lentamente, quasi di pari passo con le tappe che Elly compie in autostop in Nuova Zelanda; la donna infatti percorre il territorio neozelandese chiedendo passaggi ad automobilisti  sconosciuti, che ogni volta tentano di dissuaderla spiegandole il pericolo d’incappare in assassini e stupratori; ciò nonostante, il suo incedere a tappe prosegue e rispecchia il viaggio interiore che sta conducendo e che rende il libro un romanzo di formazione, archetipo della cultura letteraria americana on the road.

Fin da subito, tuttavia, Elly realizza che sta scappando prima di tutto da se stessa piuttosto che dagli altri: «Ripiegai il mio letto improvvisato, riposi asciugamano e maglietta nello zaino e mi trascinai fuori dal capanno e scoprii che il rumore sconosciuto non era altro che il fruscio delle pecore nell’erba, ma quelle scapparono via, perché le pecore sono abbastanza furbe da non fidarsi di nessuno, […] e io non potevo certo biasimarle perché anch’io sarei fuggita se fossi stata una pecora invece che me stessa, e anzi alcune mattine, pur essendo me stessa, vorrei comunque essere una cosa che fugge lontano da me piuttosto che quella cosa cucita dentro di me per sempre».

L’obiettivo di Elly è di giungere alla casa di Werner, un poeta conosciuto mesi prima a una festa e che le aveva lasciato il suo indirizzo in caso di bisogno; lei vede la fattoria del conoscente come un punto d’arrivo per la sua peregrinazione, ma soprattutto come un mezzo per trovare una risposta ai numerosi interrogativi che la affliggono, in primis il rapporto spezzato con la sorella Ruby e con «Marito», come lo interpella per tutto il corso del romanzo. Tra i tre, infatti, sembra quasi esserci un legame simbiotico ma costantemente sospeso tra la vita e la morte. Per quanto Elly pensi alla morte manifesta un fortissimo anelito alla vita: c’è un «bufalo» dentro di lei che prende piede con la rabbia e l’insoddisfazione interiore ma che non si manifesta mai esternamente, se non attraverso il continuo desiderio di viaggiare e fuggire pur di non fermarsi e prendere una decisione che riguardi la sua vita.

Il punto di riferimento più alto per lei è senza dubbio la sorella Ruby, adottata quando Elly aveva circa 8 anni, genio della matematica e perfetta in tutto, che a un certo punto però decide di abbandonarla. In quel tragico giorno incontrerà il suo futuro marito, che si rivela essere un professore di Ruby. Elyria dice infatti che «un’altra cosa terribile fu il modo in cui conobbi mio marito», perché instaura con lui un rapporto basato sull’attaccamento per Ruby e il marito a sua volta si sente legatoa Elly per un grave lutto che li accomuna.

La protagonista continua a vivere in bilico tra la volontà di amarlo e la repressione dell’odio nei suoi confronti, non riuscendo a prendere una decisione definitiva e scegliendo forse quella più facile, ovvero fuggire.Da un lato Elyria «[sa] che magari lui non [è] proprio l’uomo giusto per [lei], ma in qualche modo [sa] anche che probabilmente nessuno lo era, e forse nessuno è giusto per nessuno, eppure allo stesso tempo [sentiva], con insolita convinzione, che […][erano] giusti l’uno per l’altra tanto quanto possono esserlo due persone, e di fronte alla morte [lei] avevo scelto la vita, così diceva il professore […]».

Dall’altro lato però Elly riconosce che non sono una coppia perfetta, trascorrono una vita cadenzata da assenze e violenze mascherate, che rendono il ritratto del marito sbiadito e indecifrabile, associabile solo al rumore del gessetto che produce sulla lavagna a notte fonda. L’incapacità di Elyria di reagire all’immobilità che permea la vita quotidiana giunge a un momento in cui l’amore si tramutain odiosottile, confessando a se stessa che «[voleva] essere responsabile della distruzione di una parte di lui, piccola o media, e questa era una cosa un po’ malata ma anche un po’ normale», addossandogli la colpa dei problemi del matrimonio:«un bebé va adagiato nello stesso modo in cui si addossa una colpa: si mette giù con cautela, dopo aver valutato accuratamente dove sistemarla. E si regge la testa. E attenzione al collo».

Il flusso di coscienza di Elly per certi aspetti sembra quasi circolare, in bilico tra il ricordo del passato e l’indecisione sul futuro; ciò non le permette di liberare l’insoddisfazione atavica che la scuote nel profondo, ma la immobilizza, e che la rende simile ad un oceano, nel quale l’increspatura delle onde nasconde un intero universo marino negli abissi. I lettori si chiederanno se il continuo peregrinare di Elyria avrà mai una fine e se riuscirà a trovare una risposta agli infiniti interrogativi che sembrano essere gli stessi che tutti noi ci poniamo nel corso della vita. La risposta non è scontata, ma Elly giungerà a realizzare la più banale e grande verità, ovvero che «qualunque cosa facessi non sarei mai scomparsa da me stessa, ed era questo che desideravo da tanto tempo, scomparire del tutto, ma non sarei riuscita a scomparire del tutto: non si scompare in quel modo, è un lusso che non è mai stato concesso a nessuno e nessuno potrà mai averlo».

Il romanzo scorre velocemente tra i pensieri e le sensazioni di Elyria con uno stile magnetico e accattivante che intrappola il lettore dalla prima all’ultima pagina anche grazie alla complessità del personaggio, di fronte al quale il lettore ha due possibilità: amarla oppure odiarla. Già dalla bella illustrazione in copertina (ideata da Charlotte Strick e realizzata dall’illustratore Patrick Leger) si identificano i temi cardine del romanzo, primo su tutti la costante presenza dell’oceano, la cui immensità e profondità rispecchia perfettamente la complessità degli uomini.

Federica Chimenton

(www.excursus.org, anno IX, n. 79, gennaio 2017)