L’arte contemporanea – Renato Barilli

di ROSSELLA GLODER – Può esistere un legame tra arte e tecnologia? In che modo scienza e tecnica possono aver plasmato la visione del mondo degli artisti di fine Ottocento e del Novecento e rappresentare una chiave di lettura delle loro opere? Sono davvero chiare le loro scelte? Renato Barilli 

Una risposta a questi originali quesiti ci viene data da Renato Barilli in L’arte contemporanea. Da Cézanne alle ultime tendenze (Feltrinelli, pp. 400, € 17,00), saggio completo di un apparato con le riproduzioni delle opere più significative degli artisti trattati.

Molti manuali scolastici ci illustrano con sapienza, da decenni e con dovizia di particolari, l’arte di autori come Cézanne, Seurat, Van Gogh, Picasso, Boccioni, Dalì, Fontana, eccetera.

La storia ci racconta il mondo in cui essi hanno vissuto: senza dubbio, la loro sensibilità non può non essere stata toccata da eventi come le due Guerre Mondiali, la Rivoluzione d’Ottobre o il crollo del Muro di Berlino. Tuttavia, Barilli spinge a chiederci se queste nozioni storico-filologiche esauriscano davvero l’analisi del sostrato culturale, delle motivazioni psicologiche, dello streben che ha portato i maestri della contemporaneità a concepire le loro opere.

Lo studioso, nato a Bologna nel 1935, docente di Fenomenologia degli stili all’Università della propria città natale e autore di numerosi saggi di critica letteraria e di estetica – tra cui ricordiamo Corso di Estetica [1] e Corso di Retorica [2] –, ci pone un primo, fondamentale quesito: è sufficiente spiegare l’arte come espressione di stati d’animo e idee, conseguente all’azione di fattori esterni e di facili catene causali sulla vita dell’artista?

L’autore viene in aiuto a noi lettori nella Prefazione alla sua opera: consapevole della complessità dell’approccio estetico a cui sta per introdurci, ci fa scoprire una nuova metodologia di studio, basata su tre “variabili”: le «onde corte» dei mutamenti stilistici interni al campo dell’arte; le «onde medie» del confronto tra i settori della stessa e delle altre espressioni artistiche o scienze; le «onde lunghe» emanate da quel fattore “forte”, agente in profondità, che è la tecnologia o «cultura materiale». Le parole “variabile” o “onda” non devono spaventare il lettore (la domanda nasce spontanea: «Ma non è che si parli di fisica, per caso?»).

In realtà, quello di Renato Barilli è un metodo originale, che crea un canale di comunicazione diretto tra l’arte e la nuova sensibilità estetico-culturale dell’uomo contemporaneo. Si apre così una riflessione sul “passaggio di staffetta” tra modernità e contemporaneità che scardina la tradizionale interpretazione di questi due periodi storico-artistici. Punto di riferimento dell’analisi di Renato Barilli è il «materialismo storico tecnologico del “culturologo” canadese Marshall McLuhan. Prendendo in esame l’opera La galassia Gutenberg [3], mostra che «l’età “moderna” è piuttosto l’età di Gutenberg o della stampa. […] l’atto inaugurale della “modernità” è appunto l’invenzione di Gutenberg, l’introduzione di un nuovo medium tecnologico, la stampa, la macchina per comporre con caratteri mobili».

Gutenberg, dunque, è il terminus a quo, l’elemento che inaugura la modernità. La sua conclusione, il terminus ad quem, invece, viene identificato in ciò che diventa il filo conduttore dell’opera: l’avvento della tecnologia elettrica-elettronica, nelle due branche principali dell’elettromeccanica e dell’elettronica, rappresentate rispettivamente dall’anello di Pacinotti [4] e dalla posa del primo cavo telegrafico transoceanico. Da questa teoria deriva «un numero strabocchevole di esiti», tra cui l’imposizione della nascita della prospettiva rinascimentale come terminus a quo della modernità e (tenetevi forte) la strabiliante, controcorrente identificazione del suo terminus ad quem nell’Impressionismo (di primo acchito, sembra quasi un giallo la dinamica con cui i poveri Impressionisti vengono accusati di “alto tradimento” nei confronti della dell’età contemporanea e sembra d’obbligo lasciare al lettore il piacere di svelarne il mistero).

Non meno affascinante il riconoscimento del terminus a quo della contemporaneità nell’arte di Paul Cézanne, primo responsabile di una rappresentazione davvero contemporanea dello spazio tramite la sostituzione dello sferoide alla piramide prospettica rovesciata. Infatti, secondo Renato Barilli, «se l’età di Gutenberg ha (per usare un termine di Panofsky) la sua “forma simbolica” nella linea retta, l’età elettrica (elettronica) si identificherà piuttosto nel circolo, che è […] una riduzione planimetrica, poiché in realtà la corrente elettrica è di natura ondulatoria, simbolizzabile quindi con maggior aderenza attraverso la figura geometrica della sfera».

Influenzata in maniera subliminale dall’uso della corrente elettrica come strumento di produzione e di informazione, la cultura contemporanea ha dunque scelto di interpretare in modo gestaltico, strutturalistico la realtà che ci circonda. In pratica, l’uomo contemporaneo non ce la fa più a stare chiuso nella gabbia prospettica che gli tarpa le ali e preferisce un girotondo infinito, un «darsi la mano» seguendo il percorso delle onde elettromagnetiche.

Elettromorfismo [5] diventa così la parola chiave del saggio di Barilli, che ripercorre le opere degli autori di fine Ottocento e del Novecento alla luce di questa grandiosa trasformazione estetico-percettiva, mettendola in relazione con l’effetto di altri modelli scientifici e tecnologici co-presenti nei decenni esaminati. Elettromorfa è la soluzione spaziale del primo Cézanne, ed aspetti elettromorfi strettamente legati alle onde psichiche li mostra il mondo mistico dei Simbolisti; in modo ancora più evidente essi sono riscontrabili nei Futuristi. Con un crescendo di consapevolezza da parte degli artisti, questo approccio estetico alla realtà culminerà nei Dadaisti con il rifiuto della superficie dipinta e l’invasione della terza dimensione dello spazio e della quarta del tempo, includendo anche la sfera del concetto e dei significati. Tutte queste intuizioni verranno poi estese e normalizzate dalle ricerche del Secondo Novecento (Informali, Pop Art, Arte Concettuale, eccetera).

Per altri artisti, come Kandinsky o Mirò, si parla invece di biomorfismo, sulla base dell’omologia (termine usato fino allo sfinimento da Barilli per intendere una corrispondenza funzionale tra gli elementi di ambiti culturali diversi) della loro arte con il mondo della vita a livello embrionale o vegetale (fitomorfismo, in particolare ravvisabile nell’arte di Seurat); oppure di meccano morfismo nel caso dei Cubisti e delle tendenze costruttiviste e neoplastiche del Primo Novecento, per l’omologia con la realtà delle macchine (ricordiamo il boom all’inizio del XX secolo dell’industria meccanica, alimentata dall’energia termica).

Non viene trascurato dall’analisi di Renato Barilli, infine, il periodo di «ritorno all’ordine», ovvero la ripresa da parte degli artisti contemporanei di forme e tecniche più tradizionali, effettuata in primis dai Metafisici (con De Chirico in testa); è questo, tuttavia, un “ritorno” compiuto battendo i sentieri aperti dai maestri coinvolti in questa nuova rivoluzione estetica, che li portano a «rivisitare i musei dell’arte», ma ricombinandone i disparati elementi sulla base di uno straniante lavoro onirico.

Quello di Renato Barilli è uno studio rivolto non più solo al passato, ma anche e soprattutto a un futuro che si invera nelle conquiste raggiunte dalle ultime tendenze. La vicenda dell’arte odierna è sottoposta a un’analisi rivoluzionaria e attenta ai più sottili mutamenti culturali che hanno portato intellettuali e artisti contemporanei, o postmoderni, a togliersi l’abito di una tradizione diventato ormai troppo stretto per chi, come loro, era nato nel periodo della “rivoluzione elettrica”.

Renato Barilli usa un linguaggio tecnico, quasi scientifico, nonostante si parli di arte. Ci apre un mondo fatto di macchine, pezzi lignei e metallici prefabbricati, manichini, onde elettriche, germi, embrioni, liquido amniotico, strutture a spirale, tessuti vegetali e animali: elementi di un laboratorio in cui pazzi artisti-scienziati si dilettano un po’ con la squadra e il metro, un po’ con le provette, un po’ con i colori. Certo, quella del suo saggio non è una lettura facile per chi eventuaolmente si avvicini per la prima volta, o con leggerezza, alla storia dell’arte; sicuramente non vi si trovano descrizioni didascaliche a immagini prelevate da qualche museo aperto a visitatori in gita di piacere. È, tuttavia, una trattazione capace di stupire il lettore grazie a geniali intuizioni che, anche nel caso non fossero condivise, aprono numerosi spunti di riflessione su elementi storico-artistici spesso dati per scontati. Un po’ come un novello Colombo, Renato Barilli scopre una nuova America.

Rossella Gloder

NOTE BIBLIOGRAFICHE

[1] – RENATO BARILLI, Corso di estetica, il Mulino, Bologna, 1995.

[2] – IDEM, Corso di retorica, Mondadori, Milano, 1995.

[3] – MARSHALL MCLUHAN, La galassia Gutenberg. Nascita dell’uomo tipografico, Armando Editore, Roma, 1991.

[4] Macchina elettrica sperimentata nel 1859 dal fisico pisano Antonio Pacinotti. Si tratta di un generatore dinamo-elettrico di corrente continua reversibile: l’energia pulsante, trasformata in energia continua, faceva ruotare l’indotto, fornendo così energia meccanica; la macchina funzionava quindi anche come motore elettrico. L’anello di Pacinotti è considerato da molti la prima dinamo.

[5] – Barilli si è occupato del concetto di elettromorfismo anche nel saggio L’alba del contemporaneo. L’arte europea da Füssli a Delacroix (Feltrinelli, Milano, 1996), investigandone i “germi” nascosti nelle opere degli artisti contemporanei vissuti negli anni delle prime scoperte sull’elettromagnetismo.

(www.excursus.org, anno VI, n. 63, ottobre 2014)