Il lupo e il filosofo – Mark Rowlands

di TATIANA SANDROLINI – «Scelsi quindi il secondo cucciolo più grosso. Era marrone e il suo colore mi faceva pensare a un piccolo leone. Di conseguenza lo chiamai Brenin, che in gallese significa “re”». Mark Rowlands

Questo è il primo incontro tra Mark Rowlands, autore de Il lupo e il filosofo (traduzione di Nicoletta Lamberti, Mondadori, pp. 234, € 10,00) e il suo “animale domestico”, se così possiamo riduttivamente definire un maestoso e possente lupo, con il quale instaura un legame profondissimo.

Mark è un giovane docente di filosofia in un’università americana, assiduo frequentatore della vita mondana studentesca, nonché discreto giocatore di rugby. Un giorno legge un bizzarro annuncio sul giornale locale, nel quale un uomo dichiara di vendere cuccioli di lupo, assicurando una purezza di razza al 96 per cento.

Incuriosito, risponde, trovandosi realmente di fronte a una splendida cucciolata di tenerissimi lupacchiotti, tra i quali sceglie Brenin, colui che diventerà il suo inseparabile compagno di vita per undici anni. Mark tenta fin dall’inizio di domare la possente indole selvaggia dell’animale, rendendolo ubbidiente e sempre meno distruttivo nei confronti degli arredi di casa e meno aggressivo verso gli altri cani del vicinato. Brenin segue il professore ovunque, nelle lunghe passeggiate e corse mattutine, nei suoi spostamenti in Inghilterra prima, in Irlanda e Francia poi; non lo abbonda mai persino in aula, dove diventa una vera star fra gli studenti entusiasti, che devono comunque fare attenzione a non farsi mangiare il pranzo dal lupo.

Tra i due protagonisti si instaura un rapporto che va oltre all’amicizia, per stessa ammissione di Mark Rowlands: «Fondamentalmente, Brenin non era una mia proprietà e di certo non era il mio animale da compagnia. Era mio fratello». I due compongono un branco, hanno fiducia e si sostengono l’un l’altro.

Nel corso degli anni Mark Rowlands diventa sempre più solitario: abbandona la sua vita mondana, rifugiandosi sempre più in un silenzio primordiale, lontano dagli uomini e dalla civilizzazione, comprando abitazioni fatiscenti sperdute tra i boschi. Diviene col tempo un misantropo che ama stare rintanato nei suoi pensieri, sempre più lontano dai suoi simili e sempre più a contatto con la natura e gli animali.

Questi anni sono per lui di grande spunto e riflessione, ricchi di momenti che gli permettono di meditare e riordinare le idee, che racchiude in libri di successo. Racconta del suo rapporto con Brenin e di come questo simboleggi la contrapposizione tra la sleale “scimmia umana”, capace di mentire e la purezza del lupo, animale non legato all’oscurità, come molti sostengono, ma magnifica rappresentazione di luce, verità e lealtà.

L’uomo si crede un essere superiore in quanto dotato di raziocinio, nulla di più errato. Mark Rowlands sostiene che in ognuno di noi vi è la scimmia calcolatrice e rozza, lato più imponente e ingombrante, che «[…]è la tendenza a ridurre le cose più importanti della vita a una questione di analisi costi-benefici»; ma nella nostra anima si cela anche un lupo, una fonte di luce che «ci ricorda che ciò che ha davvero valore non può essere quantificato e barattato».

Il lupo e il filosofo è un libro interessante, divertente, profondo, talvolta purtroppo drammatico; il lettore si trova coinvolto e attratto da questa sintonia di due anime così lontane ma allo stesso tempo così simili. La lettura, non priva di accenni filosofici, è penetrante, mai banale. Attraverso gli occhi di Brenin veniamo a contatto con un mondo selvaggio che, malgrado tutto, ci appartiene, che è intrinseco nell’anima di ognuno di noi. I versi di Mark Rowlands tentano di risvegliare il nostro io più nascosto e recondito, quell’io che riconosce i veri valori e sa che la “scimmia calcolatrice” è destinata a fallire.

Mark Rowlands critica la nostra debole indole, che ci fa vivere in balia dei sentimenti e delle aspettative: siamo vincolati al passato che continua a condizionarci e bramiamo obiettivi futuri, per i quali ci prodighiamo senza sosta. In questo modo dimentichiamo di vivere il presente, ci perdiamo l’essenza del momento; appena raggiungiamo uno scopo prefissato, siamo già mentalmente proiettati su quello successivo. Il lupo, al contrario, vive l’attimo, non esiste per lui un legame tra il vissuto e quello che deve ancora accadere,«un lupo dimentica e perdona in fretta».

Dobbiamo dare più importanza all’essere e non all’avere. La scimmia vuole ottenere, possedere, il lupo preferisce essere, rimanere fedele a se stesso. Bisogna essere la parte migliore di noi stessi sempre, anche nei momenti più difficili, persino quando non si ha più speranza.

Mark Rowlads apprende tutto questo grazie a Brenin, trasmettendo a sua volta gli insegnamenti a noi lettori, ricordandoci che «il tempo alla fine ci porterà via tutto. Tutto quello che abbiamo acquisito con il talento, l’operosità e la fortuna ci verrà sottratto. Il tempo ci porta via la forza, i desideri, gli obiettivi, i progetti, il futuro, la felicità e perfino la speranza. Qualunque cosa possiamo avere, qualunque cosa possediamo, il tempo ce la porterà via. Ma ciò che il tempo non potrà mai portarci via è chi siamo stati nei nostri momenti migliori».

Tatiana Sandrolini

(www.excursus.org, anno IX, n. 84, luglio 2017)