Tutti i miei futuri sono con te – Marwan

di ROSSELLA FARNESE – Art pour l’art o engagement? Torre d’avorio o magma? Sfumata la dialettica tra collina e campo di battaglia, nell’era postrema dei non-luoghi dove si corre per le scale mobili di un tempo caoticamente calmo, tali aut aut sono ormai demodés. Marwan

Qual è allora il futuro della poesia? A questa nauseante ma non banale domanda, ché implica una continuità, sebbene carsica e siderale, della poesia, Marwan, cantautore e poeta spagnolo, risponde già nel titolo della rivoluzionaria ma periferica raccolta poetica Tutti i miei futuri sono con te, edita da Giunti nel 2016 (pp. 236, € 15,00) nella traduzione di Alessandra Benabbi.

«Dicono che il mondo manca di poesia. Io non credo. Credo che quel che manca sono poeti che lo raccontino»: in questi programmatici versi conclusivi del componimento 13 gennaio 2014.21:40 nella sezione Soldati a Piedi Marwan tratteggia la sua poetica – per dirla con un’etichetta à la page-urban style.

Pensieri e flash senza rime, inquieti e vibranti di affetti, labili e carnali, radicati nella quotidianità eppure al di là delle barriere della logica, impernati inevitabilmente nella materia – secondo l’etimologia del termine “poesia” cioè “qualcosa che si fa” – eppure magici.

Nell’Introduzione – un breve racconto dal titolo Il poeta più grande del mondo – Marwan lascia ancora una volta una dichiarazione di poetica, quasi un meta-manifesto di un movimento di emancipazione della poesia, un frammento sui muri da street art: «la poesia non è altro che questo, un fatto straordinario, il linguaggio della luce».

Tutti i miei futuri sono con te: l’io e il tu dunque i poli della poesia dello spagnolo Marwan che cerca un contatto empatico e intimo con il lettore sulla scia, forse, del Poem of Walt Whitman, an American.

«I celebrate myself / and what I assume you shall assume / for every a tombe loging to me, as good belongs to you», i versi iniziali di Leaves of grass sembrano riecheggiare tra le prime righe della raccolta di Marwan, «In qualsiasi stanza aleatoria della tua città / o spiaggia o parco / autobus o metrò, / tu stia/ leggendo questa poesia […] tu e io smetteremo per sempre di essere due sconosciuti / e diventeremo due cuori vicini / estremità di una stessa emozione […] tu e io / mai più/ torneremo a essere soli».

Si nota però che la relazione io-tu in Whitman è di tipo vettoriale, parte cioè dall’io del poeta in primo piano per travolgere il lettore; in Marwan invece, sebbene in uno dei testi conclusivi si legga «Quasi sempre è tardi quando capisci /che era te stesso che dovevi amare», le parole si accavallano in un abbraccio con il “tu” perché, come scrive nel componimento Scrivere (considerazioni sulla scrittura), «Si scrive per inventare un luogo in cui due si incontrano, non un bar, non un parco ma un sentimento per cui entrambi abbiamo transitato, chi scrive e chi legge. Una poesia è quindi un punto d’incontro».

L’amore, la musica, le piccole cose, i sensi, la Spagna, la crisi economica, insomma, la vita tutta scorre tra le pagine di questa raccolta che sa di microcosmo e di minore, «poesie bendaggio, poesie paesaggio/poesie azzurre» – per così dire – da serra e da cassetto; ma ci sono forse altri luoghi dove si vorrebbe trovare la poesia, eterea e volteggiante?

«Scrivere e scrivermi fino a svuotarmi, anche se perdo tutto, come Borges, che è diventato cieco a furia di sfregarsi gli occhi contro la realtà ma che vedeva il mondo attraverso quello che scrivevano le sue mani»: dice così Marwan nel componimento citato poc’anzi Scrivere (considerazioni sulla scrittura).

È inevitabile conoscere il mondo brancolando come una formica sulla propria foglia, è inevitabile cioè dire “io” per dire “noi” perché, come suggerisce anche Flannery O’Connor in Nel territorio del diavolo, «il romanziere» – e si può estendere al poeta e a chiunque scelga di scrivere – «scrive della vita, sicché basta che uno viva per considerarsi un’autorità in materia».

Tutti i miei futuri sono con te è un apeiron di frasi da cioccolatini, il canto singhiozzante e il grido orgasmico dell’Amore: «So cosa voglio / Voglio te / Il resto / lo deciderò. […] Portarti fino alla poesia, /correre verso la tua vita, / farti canzone. […] Darmi appuntamento con la tua nuca, /incontrare il tuo passato,/metterti in ogni frase. […] Che toccarti è congedare la tristezza / e vivere senza di te un trampolino verso il nulla. […] Perché se non è lei non è nessun’altra. /Perché solo lei mi fa partitura, /mi trasforma in musica».

Tutti i miei futuri sono con te è un tourbillon di frasi, versi, citazioni, parole, pagina dopo pagina vibra il ping pongdella rilkiana melodia delle cose. Marwan, ungarettiano poeta palombaro, si immerge nella materia perché per lui «Scrivere è infilare le mani fino al gomito nel dizionario e tirarle fuori bagnate di parole pronte per essere servite su una pagina», il poeta scompare e resta la poesia, secondo la citazione da Jaime Gil de Biedmain esergo «Credevo di voler essere poeta /ma nel fondo volevo essere poesia».

Rossella Farnese

(www.excursus.org, anno X, n. 89, agosto-settembre 2018)