Sex work – Giulia Selmi

di CHIARA FABIANI – Parlare di prostituzione, senza cadere in luoghi comuni o in spiegazioni semplicistiche, è abbastanza complicato e il dibattito attuale attorno al tema difficilmente mette a fuoco con lucidità le implicazioni sociali, culturali ed economiche che concorrono a renderlo un terreno complesso e ricco di conflitti.

Ciò è dovuto a diversi problemi: in primo luogo, è molto facile avere un’opinione sul tema, ma è raro che tale opinione sia priva di preconcetti morali; in secondo luogo, è molto difficile che a prendere parola sull’argomento siano le stesse prostitute e il dibattito, quindi, è portato avanti principalmente da terzi. Infatti, si tende troppo spesso ad esprimere un giudizio o ad assumere un atteggiamento paternalista nei confronti delle donne e dei clienti, ma quasi mai ci si pone nei panni dell’altro, o meglio dell’altra, senza renderla una vittima, ma accettando il suo punto di vista e permettendole di essere la voce narrante della propria storia.

Date tali premesse, abbiamo accolto con molto entusiasmo l’uscita del lavoro di Giulia Selmi, attivista e studiosa che si occupa di sociologia delle differenze di genere, della sessualità e della famiglia: Sex work. Il farsi lavoro della sessualità (Bébert Edizioni, pp. 88, € 10,00). Il volume, sebbene molto breve, fornisce una mappa esaustiva di strumenti che permettono di sviluppare un approccio critico e lucido al tema del sex work, decostruendo i luoghi comuni più radicati e le chiavi interpretative troppo semplicistiche: «Affermare che lo scambio di sesso per denaro sia antico quanto il mondo lo qualifica come fenomeno astorico, che sempre è stato e sempre sarà radicato in presunti rapporti naturali tra i sessi. In questa prospettiva i desideri e le scelte di singoli e singole, i modelli sociali di maschilità e femminilità, i rapporti di potere dentro e oltre i generi, le diseguaglianze sociali e i sistemi di produzione, le migrazioni, le politiche pubbliche e tutto quell’insieme di elementi socio-storici che danno forma concreta alle soggettività di chi lavora nel commercio del sesso, restano nell’ombra».

Il libro si apre con un excursus sulle narrazioni dominanti che nel corso della storia sono state costruite attorno allo scambio di sesso per denaro e alle lavoratrici del sesso, descritte da Cesare Lombroso e da George Simmel, come donne devianti in contrapposizione ad una femminilità normale e giusta, quella della moglie e della madre. Presentando poi la visione abolizionista di un certo femminismo che, lungi dal riconoscere alla prostituta una capacità di agency, la intrappola in ruolo di vittima, di donna-oggetto, anch’essa complice nel perpetuare la supremazia del patriarcato. «Scardinare la dicotomia ‘vittima-puttana’ che organizza la produzione di discorso sulla prostituzione giova alla libertà e all’autodeterminazione di tutte, che si lavori o meno nel commercio del sesso».

Nel terzo capitolo l’autrice ripercorre le tappe del processo della nascita di riflessioni e riscritture del fenomeno della prostituzione messo in atto dai soggetti coinvolti. Dapprima emergendo come racconti autobiografici e poi, a partire dagli anni Settanta, attraverso la nascita di gruppi politici, assistiamo ad una presa di parola pubblica da parte delle prostitute. La stessa espressione sex work fu introdotta nel dibattito sulla prostituzione negli anni Ottanta da Carol Leigh, prostituta ed attivista, nella prospettiva di portare il dibattito nell’universo simbolico del lavoro: «È alle lavoratrici in prima persona che dobbiamo l’elaborazione sia teorica che politica – di una visione alternativa dello scambio di sesso per denaro capace di rendere conto delle complessità che lo caratterizzano, e di costruire un terreno di rivendicazione politica orientato al riconoscimento di soggettività e diritti».

Partendo dalle rivendicazioni delle stesse lavoratrici si incomincia ad affrontare il tema della prostituzione in termini di lavoro e si attua una ri-scrittura, una messa in discussione del concetto di sessualità tenendo presente che i valori ed i significati che si attribuiscono a tale concetto sono diversi da persona a persona. «È la migrazione in un sistema di restrizione della libertà di movimento e di assenza di diritti così come il vivere in paesi con minore benessere economico e maggiori diseguaglianze sociali a rendere i soggetti che lavorano nell’industria del sesso maggiormente vulnerabili, non il fatto che si prostituiscano in sé».

Il libro si conclude con un’analisi delle specificità del lavoro sessuale rispetto agli altri tipi di lavori, esaminandone la dimensione strettamente corporea ed evidenziando le sue implicazioni emozionali: «Il lavoro sessuale entra a pieno titolo nell’universo simbolico del lavoro proprio a partire da quegli aspetti che storicamente lo escludevano a priori da esso – la sessualità, il corpo, le emozioni – che diventano, invece, gli oggetti di analisi più efficaci per interpretarlo».

L’opera della Selmi, come già anticipato, fornisce una lucida panoramica sulle questioni più spinose che ruotano attorno al tema della prostituzione. Il testo costituisce un prezioso contributo al dibattito attuale sulla relazione tra corpi, lavoro e sessualità, in un contesto sociale e culturale in cui il corpo delle donne è continuamente posto al centro di battaglie politiche. I quattro capitoli attorno ai quali si sviluppa il libro sono accompagnati da un’attenta ed ampia bibliografia che si compone di testi principalmente scritti in inglese, cosicché chiunque voglia approfondire determinate questioni potrà farlo in autonomia. Inoltre il volume è corredato da una serie di tavole di Paola Paganotto, giovane illustratrice che ha ridisegnato fotografie che ripercorrono tappe importanti nella storia delle lotte per la rivendicazione dei diritti delle sex workers.

Chiara Fabiani

(www.excursus.org, anno IX, n. 80, febbraio 2017)