Il quaderno delle Filastrocche – Mario Pennacchio

di RITA CASSANI – Paragonabile a una boccata d’aria profumata o un sorso d’acqua fresca, Il quaderno delle filastrocche (Kellermann Editore, pp. 72, € 9,00) di Mario Pennacchio è un libro che si differenzia dalla “massa” già a una prima occhiata, nella grafica e impaginazione ostentatamente retrò.

Rispettando il titolo alla lettera, infatti, il piccolo volume si presenta come un vero e proprio quaderno a righe, formato A5, con la copertina in cartoncino monocromo e l’etichetta bianca incollata. I testi sono scritti a mano, in corsivo, con una grafia da giovane amanuense di scuola elementare (Nicoletta Piol); le “miniature”, di Roberto Da Re Giustiniani, sono disegni colorati e illustrano le vicende e i personaggi delle storie. Non stupirebbe vederlo uscito dal baule dei ricordi di scuola dei nostri nonni.

L’autore scrive racconti in rima, dove la leggerezza tipica della letteratura per l’infanzia veicola messaggi importanti. In queste brevi narrazioni sono spesso i bambini a risolvere i problemi, con rimedi che gli adulti complicati non conoscono più. Come ne La guerra dei sorrisi: «Qualcuno non sapeva / da dove cominciare [a sorridere, Ndr] / e il bimbo con pazienza/ spiegava come fare: / “Pensa alla primavera, / al sole del mattino, / al vento tra le foglie/ e al canto di un bambino…” / Non era proprio facile/ per tutti quei soldati / pescare dei ricord i/ da tempo cancellati, / ma dopo tante prove / coi volti sorridenti, / almeno all’apparenza, / sembravano contenti». Un altro racconto, Il mostro cattivo, narra la storia di un essere mostruoso, che vive in una grotta e che nessuno va mai a trovare per paura di essere divorato. Solo un bambino, un giorno, ha il coraggio di affrontarlo: «Ma un giorno un bimbo furbo/ vincendo la paura, / percorse tutto solo / l’enorme grotta scura / e chiese quindi al mostro / con fare un po’ scortese: / “Perché non lasci in pace/ la gente del paese?”».

Il mostro non è cattivo, anzi da tre secoli è vegetariano. E risponde: «“Purtroppo questo aspetto / ormai mi ha condannato / sono sempre stato solo, / da quando sono nato. / Non credere alle chiacchiere / e a quello che si dice, / son triste e sconsolato, / non sono mai felice”». Il bambino ha l’idea vincente: organizzare con il “mostro” una festa, ovviamente a base di minestrone di verdure, alla quale invitare tutto il paese…

Un favola, dunque. Ma con temi, tutti quanto mai attuali e importanti (la paura del diverso, il pregiudizio e l’emarginazione), trattati a misura di un bambino, o per citare Antoine de Saint-Exupery, a misura di un adulto che ricordi di essere stato bambino: «Persino questa favola / insegna una morale: / mangiamo il minestrone / (che in fondo non è male) / mettiamo poi da parte / qualsiasi pregiudizio / e un’altra nuova storia/ potrebbe avere inizio…».

Tra le rime dei racconti viene esaltata la vita famigliare di ogni giorno, dove il papà torna piccolo giocando alla lotta coi due figli (Che forza il mio papà): «La calma della sera / però viene interrotta / gli salgo sulle spalle, / facciamo un po’ di lotta. / Arriva mio fratello, / infuria la battaglia, / lo morde sulla mano, / lo tira per la maglia. / Lui prova anche a resistere / e, non ci crederai, / malgrado sia fortissimo / non vince quasi mai!», dove la buonanotte diventa un rito rassicurante (I dubbi della sera): «La mamma, che è già in camera, / aspetta e poi mi chiama. / Fa finta di arrabbiarsi / e abbassa la serranda / e allora, coma al solito, / le faccio una domanda: / “Quant’è davvero, mamma, / il bene che mi vuoi? / (magari questo dubbio / l’avete pure voi)”».

La storia più bella del mondo è stata la filastrocca premiata nel 2011 al concorso “La casa della fantasia”, a cura della Fondazione “Marazza” di Borgomanero (Novara). Racconta l’unificazione dell’Italia attraverso la lente della Storia: con Garibaldi, Cavour, Mazzini. Con lo sguardo di tutte le persone che in questa Italia hanno vissuto, lavorato, faticato, sofferto e gioito, entra in scena il nonno, vero eroe della narrazione: «Il nonno a questo punto / si ferma un solo istante / e inizia un’altra storia, / non meno interessante. / Al posto di regine, / di re e di generali, / la gente che conosco,/ persone più normali». È lui che rappresenta la memoria, il contatto con le radici, che racconta storie familiari che tanto piacciono ai bambini: «Racconta di suo padre / che non parlava mai, / stanco per il lavoro, / oppresso dai suoi guai, / […] Mi parla di sua madre, / tra pentole e fornelli, / stendeva fuori i panni / col vento tra i capelli». E la “piccola” storia si incrocia di tanto in tanto con quella “grande”, incarnata dagli avvenimenti collettivi come la guerra: «Ricorda di un fratello / vestito da soldato, / salito sopra un treno ,/ purtroppo mai tornato».

È questa, alla fine dei conti, la storia più bella del mondo: gli affetti vincono sulle divisioni, le difficoltà si superano insieme, i bambini tornano a essere una promessa di eternità. Un libro che si legge in un soffio, ma si fa ricordare per molto tempo, leggero ma non superficiale, in un’epoca dove troppo spesso il ragionamento si fa arabesco e fine a se stesso. Un’esaltazione esibita delle cose semplici, in un mondo dove ci si fa vanto della complicazione.

Un messaggio educativo controcorrente, che preferisce mostrare esempi positivi, più che stigmatizzare un negativo demonizzato. Una morale data col linguaggio dei bambini: con il pragmatismo dei piccoli gesti, più che con la vanagloria di grandi imprese e discorsi altisonanti. Mario Pennacchio «scrive filastrocche da usare per il rito della buonanotte. Smetterà di farlo quando riuscirà a trovare una parola che faccia rima con “fegato”». Noi speriamo che quella parola non la trovi mai.

Rita Cassani

(www.excursus.org, anno VI, n. 58, maggio 2014)