Oceano – Francesco Vidotto

di MARTINA MONTI – «Mi chiamo Oceano, sono boscaiolo e non ho mai visto il mare»: si presenta così l’anziano signore dagli occhi celesti e la bocca sdentata alla porta di Francesco Vidotto, per chiedergli di scrivere la sua storia affinché non venga dimenticata, soprattutto da se stesso, in quanto la vecchiaia lo priva della memoria per intere giornate.

In realtà, non è solo per questo che Oceano vuole che venga messa su carta la sua vita dallo scrittore, ma anche per consegnarla ad un ignaro e misterioso personaggio, di cui verrà svelata l’identità solo verso la fine del romanzo. L’autore, Francesco Vidotto, è quindi parte del suo libro e, incontrando Oceano, insinua nel lettore il dubbio che la storia non sia fittizia ma, al contrario, reale.

Oceano (Minerva Edizioni, pp. 190, € 15,00) racconta di un falegname, Oceano Giovanni Maria del Favero, che ha dedicato la sua vita al lavoro tra le montagne e ad una grande storia d’amore. Il racconto è ambientato a Nebbiù, un piccolo paesino sperduto tra le Dolomiti, dove Oceano viene adottato da Giovanni e Maria: lui stesso definisce la sua esistenza come «rifiutata fin dal principio» perché i suoi genitori naturali lo abbandonano quando è solo un neonato.

Giovanni, il padre adottivo, si presenta come un uomo «dal carattere molle come la pasta del pane», docile e mansueto: tutte caratteristiche singolari in un tempo, l’inizio del Novecento, in cui negli isolati paesi di montagna si assisteva spesso alla violenza dei mariti, che rincasavano ubriachi e percuotevano i figli o esigevano rapporti sessuali con le mogli. Maria è invece una donna dalla fisionomia robusta e dal carattere duro, è lei che mantiene la famiglia e questo è motivo di umiliazione per il marito che spesso viene messo pubblicamente in ridicolo.

Accanto ai genitori adottivi, fondamentale è il personaggio di Italia, la sorellastra con la quale Oceano instaura un rapporto basato sulla complicità e il sostegno reciproco, nonostante la madre tratti i due ragazzi in maniera differente: ad Italia, figlia naturale, viene infatti data la possibilità di andare a scuola, mentre Oceano è «amato in modo diverso» e viene mandato molto giovane a lavorare duramente nei boschi.

Su questa scelta non è d’accordo Giovanni, ma la sua figura all’interno della famiglia conta ben poco rispetto alla moglie: sarà proprio questo ennesimo fallimento a tormentarlo e a portare poi ad un tragico epilogo familiare. Fin dall’infanzia la strada di Oceano è quindi sempre in salita e ci racconta una vita ruvida, come le sue mani che portano i segni indelebili di un instancabile lavoratore. Il suo tratto caratteristico è il sorriso sdentato di chi ne ha viste molte, ma continua a credere che ci si rialzi sempre, più forti di prima.

Un personaggio statuario, solido come le montagne che tanto ama, che riesce a superare dolori insuperabili e a sopportare situazioni insopportabili; un uomo di roccia che si imbatte addirittura nella sua lapide, nel cimitero di Nebbiù, e che svela, mano a mano che si avanza nella narrazione, una vita che ha dell’incredibile.

La struttura del romanzo si articola in due sezioni: una narrazione in prima persona da parte dell’autore e una, sempre in prima persona, da parte di Oceano, introdotta da brevi titoletti; entrambe le narrazioni sono guidate dal passato remoto. La seconda, in particolare, è caratterizzata da un linguaggio scorrevole e concreto, che arriva direttamente al cuore del lettore e che riesce a descrivere ogni situazione rendendola fortemente viva, quasi fosse un ricordo lontano di ognuno di noi. Le violenze domestiche, i maltrattamenti delle donne, la dolcezza dell’amore, il duro lavoro nei boschi e la vita tra le montagne: tutto viene raccontato in modo particolareggiato e diretto, come un fiume in piena, che travolge il lettore e lo lascia senza fiato. Francesco Vidotto

Il cuore pulsante di tutto il romanzo è sicuramente dato dalla grande e singolare storia d’amore di Oceano con un personaggio inaspettato. Questo filo invisibile che lega i due amanti conduce tutta la storia attraverso un labirinto di incontri, colpi di scena e segreti svelati, trasportandoci verso un finale totalmente inatteso.

La rete di personaggi che circonda Oceano è caratterizzata da personalità uniche e molto diverse tra loro: la dolce Italia, il fragile Giovanni, l’impetuosa Maria, il simpatico Sandrino E Basta, il violento Furio, l’affettuoso Giovannino e infine l’enigmatico Elia. Vere e proprie protagoniste di tutta la vicenda, inoltre, sono certamente le montagne con le loro storie da raccontare, i loro miti e i loro personaggi, come il magico nonno Giusto, il pupazzo di legno che racconterà una tragica storia di cui si rivelerà il significato reale solo negli ultimi capitoli del libro.

Senza dubbio, ciò che colpisce maggiormente di questo romanzo è proprio la figura di Oceano, un personaggio che ispira nel lettore un reverenziale rispetto combinato ad una dolce tenerezza. L’umiltà e l’immensa umanità sono i suoi tratti caratterizzanti: questo anziano signore di quasi cento anni diventa un grande contenitore di storie e un esempio per tutti, come il ramo di un albero di montagna si piega, ma non si spezza. Oceano continua a regalare sorrisi sdentati anche nell’ultimo emozionante incontro con la misteriosa persona a cui vuole consegnare il libro della sua vita, cosicché venga a conoscenza di tutta la verità.

Un romanzo incalzante che avvince e trascina con sé il lettore dalla prima all’ultima pagina; una storia originale e ricca di colpi di scena; dei personaggi che si fanno voler bene e che ci entrano silenziosamente nel cuore: questi sono gli ingredienti del libro. Francesco Vidotto, ancora una volta, ci racconta la commovente storia di uno degli “ultimi” e delle sue amate montagne di Cadore: «Amo scrivere storie. Mi piace l’invenzione e la finzione. Adoro la magia, i folletti e gli elfi ma la cosa che prediligo è cercare delle storie tra gli ultimi. Storie di vita, e regalare loro una dignità nuova e per sempre, raccontandole in un libro».

Martina Monti Francesco Vidotto

(www.excursus.org, anno VII, n. 67, febbraio 2015)