Lumpen Italia – Davide Miccione

MiccioneLumpenItaliadi DANIELA VENA – Che cosa succede quando l’uomo perde la consapevolezza di se? Quando non sa più spiegare la realtà in cui vive e si muove? Quando internet diventa icona e parodia della cultura? L’uomo perde la libertà. Sulle rovine dell’uomo contemporaneo, e sui suoi limiti, si snoda l’ultima opera di Davide Miccione:  Lumpen Italia. Il trionfo del sottoproletariato cognitivo (Ipoc Editore, pp. 202, € 16,00), un testo interessante e realista che rispecchia in pieno la società.

Il volume è diviso in due sezioni, Nelle aule e Nelle piazze, divisione che pone l’attenzione sui problemi culturali del nostro Paese, radicati profondamente in ogni campo. Sin dalle prime pagine si trova una ricostruzione, delineazione e presentazione dell’ignorante ipermoderno, della realtà caotica in cui vive, devastata dalla perdita oggettiva della visione spazio-temporale. A questo frangente si aggiunge il volontario livellamento delle peculiarità soggettive, per rientrare nei parametri di un’uniformità collettiva più sicura e confortevole, lontana dalle capacità critiche che lo rapporterebbero con la sua vera essenza d’uomo. Il tutto in antitesi ad un ulteriore aspetto inquietante: l’ossessivo e martellante bisogno di socializzazione. 

Miccione denuncia la necessità impellente dell’ignorante ipermoderno di restare perennemente connesso con qualcuno,  una sorta di “posto o chatto ergo sum”. La sua estraneità alla realtà trova la massima rappresentazione nei luoghi comuni, emblemi di quest’esistenza astratta. L’autore, e non solo lui purtroppo, è a stretto contatto con questa nuova “forma evolutiva” , un’orda antropica e traboccante, annichilita dalla mancanza di coscienza, che brancola in una dimensione onirica dove la mediocrità trova terreno fertile.

Eppure in una società come la nostra, bombardata continuamente da ogni genere di notizie e informazioni sembra un paradosso il brulicare del numero degli ignoranti ipermoderni, l’unica spiegazione possibile è da ravvisare nelle parole dell’autore: «L’ignorante ipermoderno da noi tratteggiato non preferisce la scienza o l’economia o la tecnologia […] rispetto a temi e metodi dell’umanesimo. Egli, semplicemente, si alloca decisamente prima di questi incroci, mostrando disinteresse per qualsiasi forma di interazione intellettiva con il mondo». Ma se la curiosità di conoscere il mondo, che ha mosso l’uomo dalla sua comparsa sta svanendo, come si presenterà il futuro? Di fronte a questo specchio sociale il prezzo più alto lo paga la cultura che per essere acquisita ha bisogno di tempo e riflessione. Così il piacere delle lettura fatto di momenti di intimo silenzio e propedeutica conoscenza di sé, è totalmente scomparso, bandito dalla quotidianità in cui più impegni si hanno nella stessa giornata, più si vive intensamente, ignorando del tutto che non si è presenti in nessuna delle attività svolte. A leggere il testo di Miccione si scopre che il raggio d’azione di tale abitante italico ha travalicato le periferie e gli istituti tecnici, dilagando fra gli studenti universitari e la classe politica, come numerose interviste testimoniano.

La puntuale ricostruzione dell’habitat naturale di quest’attuale figura sociale coglie, senza cedimenti, i nessi fra le scelte di vita, la forma di conduzione e i condizionamenti esercitati dal contesto irriguo di una terra in cui il valore della polis è morto. Nonostante i reiterati tentativi di alcuni insegnanti di razionalizzare ed evidenziare l’importanza dei possedimenti culturali, la società resta fortemente caratterizzata da una strutturale frammentazione e dispotica inettitudine, imputabile ai diversi fattori esterni. La stessa diffusione televisiva congiura ai danni della conoscenza, decretando una riverente accettazione dell’ignoranza che non fatica a far breccia in tutti gli strati sociali.

A remare contro l’evoluzione celebrale ci sono anche la carenza di capitali pro cultura, la poca attenzione prestata all’istruzione e l’inesorabile avanzata di internet. È assai preoccupante quanto la negligenza inglobi i governi, tra tutti il nostro, dove il consolidato attaccamento alle convinzioni e ai sistemi tradizionali e l’assenza di un ricco bagaglio culturale siano le cause maggiori e scatenanti dell’ignoranza comune. Siamo troppo lontani dalla volontà di uguaglianza che si poggia sul valore della formazione, ne consegue che il perseguimento della prosperità intellettuale, direttamente connesso a quello democratico ed economico si vanifica, rimanendo utopico.

Nella seconda parte del testo l’autore s’interroga sul perché il problema della povertà culturale esuli dal dibattito italiano, il tutto supportato da una serie di fonti, documenti ed elaborazioni quantitative a corredo della ricerca svolta. Nel corso dell’opera si prospetta il passaggio dall’ignorante ipermoderno al sottoproletariato cognitivo: quest’ultimo è un iperconsumatore che, attraverso lo sciupìo e l’approvvigionamento di merce, crede di conoscere e risolvere se stesso. Leggerne la minuziosa descrizione e l’inevitabile sviluppo si rivela tragicomico e realistico al tempo stesso. Miccione sostiene che per debellare tale abbrutimento bisogna occupare una posizione netta che ostacoli questa dilagante, prepotente e impudica diffusione dell’ignoranza, a cui tutti ormai siamo abituati a soccombere.

Chiudono il testo le cinque proposte pratiche con cui l’autore vuole «desottoproletarizzare l’Italia», una fra tutte: «Fuori la famiglia dalle scuole!». Il libro può essere considerato un valido contributo nel panorama storiografico sull’attuale stato di cultura. Scritto con uno stile asciutto, tagliente ed ironico merita ripetute letture.

Daniela Vena

(www.excursus.org, anno VIII, n. 74, luglio-agosto 2016)