Trimalcione – Francis Scott Fitzgerald

FitzgeraldTrimalcionedi ELISA MOSCA – Dopo il chiassoso successo del film Il Grande Gatsby, diretto da Baz Luhrmann nel 2013, è iniziata una vera e propria ondata di interesse per l’autore del libro da cui il film è tratto e per l’epoca di cui è stato il simbolo. Le librerie sono state prese d’assalto alla ricerca di qualsiasi cosa Fitzgerald avesse mai scritto. 

La corsa è stata accompagnata da un’importante fioritura di nuove edizioni, ristampe, revisioni, prefazioni, feste a tema, e a carnevale ci siamo ritrovati tutti vestiti da gangsters e flappers. Gli anni Venti erano erano diventati la moda indiscussa del momento e guardando indietro a quell’epoca si vedevano soltanto feste scintillanti, interminabili e inondate d’alcool erano la regola. Un mito incredibilmente affascinante anche per il mondo contemporaneo. 

Ma questa improvvisa riscoperta di Francis Scott Fitzgerald ha portato alla luce qualcosa di nuovo? La risposta non ha di certo deluso gli appassionati dell’epoca che non si sono fatti distrarre dalle infinite proposte che il successo del film aveva fomentato. Infatti ha fatto la sua comparsa il Trimalcione (traduzione di Rossella Monaco, Bur, € 12,00), ossia la prima stesura del Grande Gatsby. Perché pubblicare la prima stesura di un romanzo che ha avuto un così grande e duraturo successo di pubblico e di critica a ben 87 anni di distanza? Ebbene il volume, edito proprio nel 2013, non è una semplice bozza di quello definitivo, ma un altro libro, al punto che sarebbe più corretto parlare di un’opera diversa. Due libri quindi per un unico protagonista, il misterioso Jay Gatsby, che ha fatto delle propria vita una rincorsa alla riconquista di Daisy Fay, l’unica donna che il giovane abbia mai amato, ma sposata ad un altro uomo, Tom Buchanan. 

La trama segue quella del Grande Gatsby con alcune interessanti eccezioni, come ad esempio lo spazio maggiore dedicato alla figura di Tom, visto anche lui, come il resto dei personaggi, attraverso gli occhi forse un po’ ingenui di Nick Carraway, cugino di Daisy. L’abilità di Fitzgerald sta nel riuscire a modellare all’infinito le proprie trame limitandosi a modificare soltanto alcuni dettagli apparentemente trascurabili. Lo stile di entrambi i romanzi è quello del miglior Fitzgerald, fluido, agile, ma al tempo stesso capace di leggeri voli poetici convertiti in prosa sognante. Questi due libri parlano di un’illusione, identificata nella luce verde che dondola come fosse sospesa sopra un pontile dalla parte opposta della baia a quella dove si trova la casa di Gatsby. L’autore riesce a trasportare l’illusione nel suo stile, rendendolo specchio del carattere sfaccettato e indefinito del suo protagonista. 

Quindi perché leggere due volte lo stesso libro? Proprio per comprendere che non si tratta del medesimo e per arrivare il più vicini possibile all’idea che Fitzgerald doveva averne. Infatti la prima stesura è più ampia e forse più completa della versione definitiva permettendo così al lettore di comprendere meglio l’epoca stessa che è racchiusa il periodo storico stesso che è racchiuso tra le pagine di questi due libri. Quella di Fitzgerald è una vera e propria istantanea della propria epoca, dei Roaring Twenties, congelati nel loro fasto e nelle loro incertezze mentre riusciamo a sentire chiaramente le note del jazz in sottofondo. 

Una curiosità della prima stesura riguarda senza ombra di dubbio il titolo che Fitzgerald stesso avrebbe fortemente voluto anche per la versione definitiva, come rivela lo scambio epistolare sull’argomento con il suo editore ed amico Maxwell Perkins alla Scribners. L’uso del termine Trimalcione non può far altro che richiamare alla nostra memoria la figura del grottesco liberto Trimalcione descritta da Petronio nel suo Satyricon. Trimalcione è protagonista indiscusso del più celebre episodio dell’opera, la Coena Trimalchionis, dove Petronio illustra con efficacia un lusso esagerato e immotivato. Il rimando allo sfarzo luccicante della casa, delle feste, della vita di Gatsby è un passo obbligato. È evidente quindi chi avesse in mente Fitzgerald mentre modellava il personaggio di Gatsby. Fitzgerald, che non era riuscito a terminare gli studi presso l’università di Princeton, conosceva però senza dubbio Petronio, e a confermarlo è lui stesso quando lo cita nel suo primo romanzo Di qua del paradiso per bocca del protagonista Amory Blaine assieme ad altri scrittori che reputa adatti ad esprimere un gusto a metà tra il decadentismo e l’estetica. Quest’ultima osservazione, a nostro parere, rende al meglio lo stile che Fitzgerald ha fatto proprio nel corso della sua esistenza, così tormentata e splendente da imprimersi con forza nelle sue pagine. Lui stesso riteneva che nulla avrebbe potuto sopravvivere alla sua vita, e tutto ciò che ha scritto infatti ne è stato profondamente contaminato.

Leggere la prima stesura di un’opera diventata poi tanto celebre è senza dubbio un mezzo per conoscere più a fondo gli anni Venti e per sbirciare dal buco della serratura la costruzione di un libro di cui tutti siamo abituati a sentir parlare. Il Trimalcione farà di certo rivivere la magia di quegli anni, senza però svelare troppo.

Elisa Mosca

(www.excursus.org, anno VIII, n. 74, luglio-agosto 2016)