Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà – Luis Sepúlveda

sepulvedastoriadiuncanedi TATIANA SANDROLINI – «Il branco di uomini ha paura. Lo so perché sono un cane e fiuto l’odore acido della paura». Viene introdotto così il protagonista di Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà (traduzione di Ilide Carmignani, illustrazioni di Simona Mulazzani, Guanda, pp. 112, € 10,00) di Luis Sepúlveda, autore cileno ben noto al pubblico per i suoi titoli dal carattere fiabesco, in cui gli animali sono spesso il fulcro della storia.

In questo libro si narra la vicenda del cane lupo Aufman che racconta con grande tenerezza la sua storia, riportando i fatti accaduti durante la sua infanzia, che descrive sempre con una malinconia struggente.

Le sue parole ci riportano ai suoi primi giorni di vita, quando un giaguaro lo salva da morte certa e lo conduce alle abitazioni dei mapuche, testualmente “Gente della Terra”, popolo cileno che vive nel pieno rispetto della natura e di tutti gli esseri viventi.

Il prozio dell’autore era di origine mapuche e al tramonto soleva raccontare ai bambini storie nella loro lingua natia, il mapudungun; questo ha portato Sepúlveda a parlare di questa gente meravigliosa, che ha fatto nascere in lui la vocazione di scrittore. Egli li considera suoi fratelli e suo popolo.

Il nome Aufmanviene dato al nostro protagonista proprio dall’anziano del villaggio, colui che alla sera racconta le storie ai bambini attorno al fuoco, lo stesso che lo ha preso con sé, crescendolo con il nipote Aukamañ. Il cucciolo porta un nome importante, il termine “Aufman” per i mapuche significa infatti “leale”, “fedele”.

Il passato del nostro narratore scorre così felice: è accudito, nutrito, avvolto nel rispetto e nell’amore; egli è parte integrante della famiglia, con la quale ha un legame fortissimo, in particolare con Aukamañ. I due diventano inseparabili e trascorrono ogni momento sempre insieme, fino al terribile giorno in cui vengono strappati l’uno all’altro.

Il destino incombe su di loro e ha il volto dei wingka, gli “estranei”, che irrompono tra le capanne del villaggio imbracciando armi, per obbligare il popolo a lasciare le loro terre. Questi uomini senza scrupoli impongono il loro volere con la morte e con la violenza, separando infine brutalmente i due amici.

Aufman alterna la narrazione del presente, il suo presente, ricco di stenti e crudeltà, con gli avvenimenti del passato.

Le parole del cane sono delicate, lucide, dolci ma allo stesso tempo dure come le pietre; esse sono in grado di cullare il lettore tra gli aromi sublimi del suo passato, ricco di colori sgargianti e voci amiche, ma allo stesso tempo di trascinarlo in un’angoscia infernale che nasce dalla realtà delle sue giornate presenti, dominate da calci, fame e rassegnazione.

Il futuro però ha in serbo per lui e Aukamañ qualcosa di grandioso, il fato permetterà ai due di ritrovarsi e riottenere quel legame speciale e indissolubile di un tempo.

Il cane, obbligato a lavorare per gli “estranei”, deve fiutare l’odore di un misterioso fuggitivo, un ragazzo mapuche, un odore che Aufman non può dimenticare, nonostante siano passati molti anni.

La vicenda narrata in questo racconto di Sepúlveda riesce senza alcun dubbio a colpire e a impossessarsi del lettore che rimane costantemente col fiato sospeso, pagina dopo pagina. A ogni capitolo si rimane in attesa, scongiurando che la violenza cessi e arrivi l’agognato lieto fine.

La narrazione in prima persona riesce a far vivere emozioni senza eguali, si respirano gli odori attraverso l’olfatto del cane, si percepiscono e incassano i colpi da lui ricevuti, provando vero dolore, di quello che penetra nelle ossa e soprattutto nel cuore. Si soffre osservando la realtà con i suoi occhi e ci si commuove, sentendosi impotenti, implorando che la sua sofferenza abbia termine il prima possibile.

Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà ha inoltre una grande incidenza stilistica: è un racconto che introduce il linguaggio mapudungun, riportando numerosissimi vocaboli seguiti dalla relativa traduzione, raccolti persino in un glossario in coda al libro. Questo particolare accorgimento permette al lettore di sentirsi ancora più integrato nel racconto e in particolare nell’ottica mapuche.

Sepúlveda ripete anche in questa circostanza la sua grande abilità nell’elargire insegnamenti servendosi di animali e uomini dall’animo buono e rispettoso, che contrappone ad altre figure più meschine, dominate da arroganza e brutalità. Il popolo umile che rispetta la natura viene schiacciato costantemente da chi si vuole imporre in nome del progresso.

Lasciamo ai lettori le considerazioni del caso, consigliando vivamente la lettura di questo racconto, breve ma ricco di intensità: è un ottimo punto di partenza per riflessioni sempre attuali. Riga dopo riga traspare la grande umanità del protagonista, un’anima pura che rimane leale e fedele a chi gli ha dato amore. Questo cane è veramente “umano”, termine che in molti faticano ancora ad attribuire agli animali.

 Tatiana Sandrolini

(www.excursus.org, anno VIII, n. 77, novembre 2016)