La strada perduta – Alessio Banini

di SIMONA OLIVIERI – Uziel si trova probabilmente in una delle radure sterminate dell’Impero, quando si accorge di non essere più nel candore del Paradiso Celeste: un attimo prima attorno a sé aveva degli angeli, suoi fratelli, e un attimo dopo, eccolo seduto in mezzo all’erba umida. Non ricorda bene cosa sia successo, ma sa che è sulla Terra per compiere una missione ben precisa: sterminare tutti i demoni che minacciano di corrompere per sempre la razza umana.

«Dovresti vegliare sugli uomini. Dovresti proteggerli e guidarli verso la fede. È quello che faccio. I demoni minacciano continuamente la vita degli uomini […] la loro malvagità è capace di corrompere altri uomini, dando origine a nuovi demoni. Se non li uccidiamo tutti, l’Impero si riempirà di demoni. Questa è un ossessione. Lo sai, vero? La tua sanità mentale è compromessa. No! Devo ucciderli tutti! A forza di vivere in mezzo agli uomini, a forza di uccidere i demoni, stai dimenticando che cosa significhi essere un angelo. Non sei stato cacciato dal Paradiso Celeste. Sei caduto. Me ne sono andato. Loro non riuscivano a capire. Sei caduto. E sei solo adesso».

Alessio Banini, in La strada perduta (Plesio Editore, pp. 236, € 12,50), cuce addosso ad Uziel il classico stereotipo fisico degli angeli. Il suo personaggio è alto e magro, con lunghi capelli biondi e la pelle candida, a cui si abbina straordinariamente bene un paio d’occhi azzurro ghiaccio. Nessun altra fisicità sarebbe insomma più in contrasto con la sua vera essenza.

E così Uziel è un angelo caduto dal Paradiso Celeste, esattamente come, il paragone viene da sé, il biblico Lucifero. Egli però rifiuta categoricamente ogni definizione che lo veda in difetto, malvagio, o in errore e, oltre a non accettare consigli, evita quasi del tutto ogni relazione umana, per paura che ciò lo distragga dal suo compito. Compito nobile e meschino al contempo, che lo porta ad uccidere freddamente non soltanto chiunque abbia sembianze demoniache, ma anche chi, ancora nelle vesti dell’essere umano, dia manifestazioni di avere dentro di sé il morbo della corruzione. Anche questi non sfuggono alla spada lucente dell’angelo, che agisce con la freddezza di un serial killer.

La sua missione lo rende estremamente sicuro di sé, o spietato se si vuole, poiché non importa il motivo per cui un demone, o un uomo, agiscano, o abbiano agito, anche soltanto una volta, in modo malvagio: Uziel, esattamente come una macchina, non fa eccezioni, non distingue, non mette in dubbio.

La crudezza dell’angelo è occasione per “pungere” il lettore e metterlo di fronte ad alcune delle questioni morali più annose e discusse: è giusto uccidere? Si può pensare di dare un’occasione di redenzione a chi nella vita non ha mai fatto nulla per meritarsela? Che fare? Obbedire o ragionare? Credere ciecamente o mettere in discussione, in dubbio, ciò che ci viene detto come dogma?

«È il dubbio, Uziel. È il dubbio che uccide la fede. Il dubbio, il nero serpente strisciante».

In fondo, a ben guardare, è proprio qui che viene allo scoperto la natura antropologa di Banini, che usa una strategia talmente semplice da essere quasi geniale, ponendo Uziel direttamente al cospetto della sua coscienza, o parte razionale se si preferisce. Il testo, infatti, composto da più racconti che vanno poi a formare il romanzo, è legato da un filo di discussioni intrapsichiche tra Uziel e una voce, evidentemente dentro la sua testa, che potrebbe essere un alter-ego, così come la sua “parte sana”, non ancora toccata dalla follia e dall’ossessione, come ribadisce più volte essa stessa. I dialoghi fra i due, ben costruiti e posizionati ad arte nel corso della storia, sono il fulcro della riflessione di Banini. In essi, misti ad una piacevole ironia, è contenuta infatti tutta la vera “passione” del romanzo, tutto ciò che lo rende vivo.

Il viaggiatore solitario, coperto da un pastrano marrone lungo fino ai piedi ha in questo modo qualcuno con cui confrontarsi, sebbene sembri non averne la necessità, e d’altro canto, l’autore ha un artificio narrativo per raccontarci, a gocce, la storia di Uziel, da dove egli viene e da cosa scappa, facendo luce sul mistero che aleggia attorno a lui.

L’ambientazione che i personaggi vivono è già familiare ai lettori di Banini, dato che La strada perduta narra le vicende dell’Impero e dei territori già visti in Sangue ribelle – edito sempre da Plesio nel 2011 – riprendendone atmosfere e paesaggi, che sono narrati con dovizia di particolari e animo naturalistico.

Altro aspetto particolare del romanzo riguarda le descrizioni dei personaggi secondari: dalla giovane biondina alla vecchietta, al mercenario, sembrano essere stati presi da un libro di caricature, con caratterizzazioni appena accennate. A nostro avviso, Banini non ha investito più di tanto sull’approfondimento psicologico dei personaggi per due motivi.

Primo: essendo Uziel un personaggio estremamente solitario, per una coincidenza tra narratore e protagonista, se quest’ultimo non ha interesse a stringere rapporti con gli altri personaggi, allora il narratore non ha interesse a narrare più di quanto serva a delinearli, ovvero una semplice descrizione fisica; una sorta di “punto di vista zero”. Il secondo è anch’esso di ordine narrativo, ma più logistico, e si spiega in questo stralcio: «Uziel sapeva di dover scappare. Ma non gli interessava. Come angelo aveva una vita secolare. Sarebbe tornato in futuro, una volta che la memoria degli uomini fosse stata risucchiata dall’oblio delle generazioni successive». L’interesse a caratterizzare i personaggi qui decade nel momento in cui si capisce che Uziel non li incontrerà più, che non ci saranno più quando egli tornerà, dopo anni e anni, in quel paese, in quella regione dell’Impero.

Uziel, infatti, è costretto a tornare sempre. È qui, ed è anche da un certo punto in poi del romanzo, che la missione dell’angelo appare alienante e inquietante: quasi una condanna. Lui uccide per preservare il bene, o così almeno egli crede, ma come capita molte volte ai veri eroi, nessuno lo capisce, nessuno lo loda e lo porta in trionfo. Il suo è un lavoro sporco che però va fatto e per il quale egli prenderà una decisione drastica per qualsiasi essere umano, e forse, anche per un angelo.

Simona Olivieri

(www.excursus.org, anno VII, n. 70, maggio 2015)