Corto circuito – Elettra Groppo

di SIMONA CASADIO – Senza discostarsi dall’ambito sociale, psicologico e d’attualità, analizzati da varie prospettive nelle pubblicazioni precedenti, Elettra Groppo avanza l’idea di una nuova indagine in Corto circuito, patologie di una società in evoluzione (Elmi’s World, pp. 160, € 13,00), nella piacevole forma del romanzo, approfondendo le dinamiche fra l’essere umano e l’evoluzione tecnologica.

Ma non è, in fin dei conti, di tecnologia che si parla, bensì di adattamento: l’incapacità del protagonista di partecipare alla società è tanto più palese ogni volta che lo si metta a confronto con personaggi che nulla sembrano sacrificare di fronte alle scelte imposte dallo sviluppo tecnologico.

Luca appare leggermente brusco, schivo, salda in lui la nostalgia; sensibile al fatto che «gli spazi si fanno sempre più stretti, le strade […] sempre più piene», e seccato fra occasioni in cui non si ritrova e un mondo futuristico talvolta ipocrita o indifferente senza volontà.

Accanto alla sensibilità, c’è una forte capacità di analisi che Elettra Groppo vuole accostare al rapporto non ancora dipendente, controllato, che si muove fra «la voce fuori campo» del protagonista e gli strumenti tecnologici: dalle email ai social network, e a tutto ciò che fa optare per «la comodità» e per l’«inerzia», intesa quest’ultima come abitudine. Un legame, pertanto, costruito non a caso. 

È stato infatti dimostrato che se «la facoltà analitica consiste nell’escludere dal materiale percettivo tutto ciò che non appartiene essenzialmente alla cosa», nel «distinguere l’essenziale dall’inessenziale» [1], allora l’eccessivo flusso d’informazioni a cui l’individuo è costretto ad avvicinarsi porta con sé una scelta implicita che irrimediabilmente muove i più a preferire la quantità alla qualità, e quindi alla profondità.

Questa la causa di una specifica malattia: la Ifs (Information Fatigue Syndrome), cioè l’affaticamento da surplus informativo che determina a sua volta la paralisi della capacità di analisi, quella stessa che il filosofo Byung-Chul Han definisce «atrofia del pensiero».

Ecco perché a più riprese nel romanzo vengono osservate la necessità dell’esser fragili, talvolta incoerenti, poiché l’uomo si modifica in maniera irriconoscibile come effetto di certe ostinazioni, e la complessità sensibile che le macchine appiattiscono; caratteristiche che difficilmente s’incorporano all’ambiente tecnologico. Poiché «l’indugiare o il titubare, che sarebbero costitutivi dell’agire, vengono percepiti come un disturbo delle operazioni che danneggia l’efficienza» [2], l’uomo cede il suo ruolo centrale, allontanandosi dalla natura.

Sono perciò lecite le agitazioni di Luca di fronte ai rapidi cambiamenti tecnologici, per quanto di volta in volta circoscritti, che presi uno dopo l’altro in successione cronologica restano invisibili alla società, ma che sommati falsano il quotidiano portando via parte di umanità (è la storia della rana nell’acqua bollente “raccontata” da Noam Chomsky).

Già dal primo capitolo, con una narrazione in prima persona volutamente arrogante e riflessiva, il protagonista descrive una realtà che pare alterata al lettore, guastata da un cinismo estremizzato, a tratti parodico, che lo caratterizzerà fino alla fine.

Questa tuttavia non è una storpiatura, ma una verità che passa inosservata: con atteggiamento distaccato e oggettivo vengono presi in esame i particolari e i possibili effetti, fatti confronti, tenendo in considerazione il contesto e mettendo in evidenza ciò a cui si potrebbe facilmente rinunciare e, viceversa, quelle cose che varrebbe la pena non trascurare.

Per muovere alla consapevolezza di un problema sempre «meno innocuo», Elettra Groppo allontana progressivamente il protagonista dalla visuale, forzando il lettore a servirsi d’uno sguardo più d’insieme. Legata per analogia all’apertura visiva, la forma estremamente variabile nel corso della narrazione rende lecito parlare di trasversalità di genere: sono presenti capitoli di taglio saggistico, altri romanzati. La parte centrale riporta poi alcuni articoli presi dalla rubrica giornalistica Techno Life, curata dallo stesso Luca.

In questo capitolo oggetti e ragionamenti sono distribuiti in ordine di innovazione, muovendosi perciò dai più attuali e verosimili ai più fantascientifici, senza che tuttavia nulla esca da ciò che verrebbe definito razionalmente possibile: dal mantenimento dell’individualità, le storpiature dei media e la politica del “mi avete frainteso”, ai cambiamenti climatici, la fretta, la privacy, il piacere e la solitudine.

Ciò che Luca desidera è un mondo fatto di carne e non di ferro: vengono a mancare gli artigiani, l’autenticità e la naturalezza dei prodotti e degli affetti, poiché «a una creatura umana distante si può pensare e si può afferrare una creatura umana vicina, tutto il resto sorpassa le forze umane» [3].

A contrasto con ciò che viene detto e con gli atteggiamenti delle figure accanto al protagonista, a loro agio fra automi e dispositivi, si afferra un nervosismo leggero e sconfortato, che sarebbe un errore associare al singolo.

Di nuovo, l’essere umano è «l’imprevisto, il possibile mutamento» in grado di muoversi indipendentemente; ha volontà di scegliere se sottostare al rapido evolversi delle cose, nel caso in cui giudichi razionale o comodo non opporsi al guadagno, che sia di molti o di pochi, o se allontanarsene a fatica. E se poi quest’ultima possibilità venisse negata, sarebbe ancora concesso soffrirne.

Simona Casadio Elettra Groppo

NOTE BIBLIOGRAFICHE

[1] Byung-Chul Han, Nello sciame. Visioni del digitale, Nottetempo, Milano, 2016, p. 77.
[2] Ivi, p. 68.
[3] Franz Kafka, Lettere a Milena, Mondadori, Milano, 1979. Elettra Groppo

(www.excursus.org, anno IX, n. 83, giugno 2017)